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Tatuaggio: gioco di paradossi

11 Luglio 2006
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24/04/2024

Tante le letture di un tatuaggio: gesto di simulazione estrema che rimanda ad una norma ormai perduta, parte essenziale di un rituale erotico, a volteTante le letture di un tatuaggio: gesto di simulazione estrema che rimanda ad una norma ormai perduta, parte essenziale di un rituale erotico, a volte esibizionista, momento in cui l’inconscio parla attraverso la calda superficie della pelle, o ancora epilogo e consumazione di una body art che si fa, in tal modo artigianato di massa.

Segno di un paradosso di fondo, esso esprime proprio ciò di cui vorrebbe tacere, è l’indelebile traccia che guida allo svelamento del segreto, dietro il paravento della sfida. Ma il segreto resiste anche dove tutto è manifesto e proprio qui risiede una delle più forti ragioni del consistente ritorno alla pratica del tatuaggio.
A questa prima contraddittoria funzione – mostrare e celare ad un tempo – altre contrapposizioni si aggiungono, non di minore interesse. Il tatuaggio è antico ed attualissimo. Sofisticato e popolare. Ripetitivo ed originale. Raffinato e rozzo.
Esso continua a sfuggire ad una piena comprensione razionale. E’ come se liberasse qualcosa di “primitivo” tanto profondamente radicato che millenni di civilizzazione non sono riusciti a cancellare. Secondo l’interpretazione di Simona Carlucci il tatuaggio potrebbe “essere l’ultimo inconsapevole sussulto di qualcosa di tanto remoto da non avere più lasciato traccia nella nostra memoria, l’espressione di un bisogno che esaurisce i vecchi e cerca nuovi modi di manifestarsi”.
La pratica del tatuaggio in linea generale trova la propria matrice storica nelle società primitive. La pittura corporale e la cicatrizzazione, o scarificazione hanno sempre svolto e continuano tutt’ora a svolgere funzioni di premessa e conclusione del processo di acculturazione e socializzazione. Questa forma di pittura, decorazione ha luogo soprattutto durante le cerimonie di trasgressione rituale dei tabù. Essa serve a richiamare ciò che normalmente è vietato. Tatuaggi e scarificazioni sono chiamati ad ascrivere sul corpo il segno della propria cultura o contro-cultura, ed in questo fanno parte dell’ordine simbolico. La funzione è in parte iniziatica, risponde all’esigenza di strappare i corpi alla relazione viscerale infantile ed immetterli nella circolazione della comunicazione sociale, sia esa di gruppo sia essa totale. Il fatto, quindi, che non abbia originariamente fine estetico, ma carattere di una prova indica bene per analogia il senso originario dell’incisione sul corpo: quello di una acculturazione, per così dire, a vivo. L’imposizione del segno è una forma di battesimo che suggella e certifica l’assegnazione di una nuova identità. Inoltre questa morte e rinascita devono essere provate intensamente, mentalmente e fisicamente, con dolore. E’ un modo di associare intimamente il corpo all’atto di adesione e di imprimervi il testo della norma. Ogni individuo può essere segnato “definitivamente” nella carne secondo criteri di identità che variano da gruppo a gruppo, ma che si applicano una volta per tutte. Ecco perché indica partecipazione spontanea. Quale che sia la qualità plastica o la ricchezza di invenzione di questi segni per l’occhio occidentale, essi non sono stati tracciati per motivi puramente estetici, in aderenza al principio dell’arte per l’arte e sebbene rivestano anche una funzione estetica, questa, nonostante le innumerevoli variazioni di forma, non può divenire autonoma in quanto è assoggettata alla funzione di riconoscimento senza la quale il tatuaggio non esisterebbe.
Molti sono stati e sono i tentativi di studio ed analisi per dare delle spiegazioni razionali su questo fenomeno sociale. La psicopatologia si muove, ad esempio, nel tentativo di dimostrare la presunta relazione fra malattia mentale e tatuaggio: vari articoli descrivono le persone tatuate come “immature, insoddisfatte, aggressive”. Esemplificativo per tutti il commento di Briggs (Medical Time, 1958) “… la presenza di un singolo, insignificante marchio di tatuaggio, suggerisce un fenomeno prepsicopatico o psicopatico. La presenza di più segni, molto differenti tra loro per motivi asimmetrici e senza nessuna apparente relazione gli uni con gli altri, è sempre sintomo di una grave psiconevrosi… Uno studio degli individui tatuati, dei disegni e delle motivazioni che essi esprimono chiaramente è… prezioso nella determinazione dell’emotional pattern di un individuo”.
I criminologi tendono, invece, a considerarli come elementi della cultura del carcere. Il tatuaggio sarebbe allora una proprietà personale che non può essere portata via dalle guardie ed il fatto che nella maggior parte delle carceri sia proibito lo rende ancor più carico di significato. Il tatuaggio è considerato come il palese rifiuto dell’autorità.
Gli antropologi che vivono nei gruppi tribali, in cui il tatuaggio ed altre forme di alterazione corporale sono una parte importante della vita quotidiana, presentano un quadro, invece, molto differente dei motivi e dei significati che lo circondano. Nelle culture tribali è normale ed accettato farsi segnare il corpo e, in alcuni casi è addirittura necessario se si vuole essere in armonia con il gruppo. Attraverso il tatuaggio la persona può manifestare efficacemente la propria importanza sociale, l’appartenenza ad un clan particolare, ad una famiglia, l’abilità nella caccia e nella guerra, un particolare senso estetico.
Ancora, gli storici che tendono ad identificare ed eveidenziare i periodi di rinnovata popolarità dei tatuaggi durante le guerre. Una specie di pittura di guerra, fatta di sentimenti di solidarietà e di patriottismo, che segna coloro che marciano verso la morte.
Tutte queste interpretazioni, diverse per metodologia di analisi oltre a manifestare la complessità del fenomeno sociale e la varietà di manifestazione, non riescono, però, ad esaurirne il significato ed a darne una spiegazione completa.
Forse è la parte del segreto nella volontà dell’atto che non può essere catturata…

© Riproduzione Riservata
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