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Chi è Diego Dzodan numero 2 di Facebook, perché è stato arrestato

3 Marzo 2016
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23/04/2024

Ecco chi è Diego Dzodan numero 2 e vicepresidente di Facebook: perché il manager di FB è stato arrestato in Brasile pochi giorni fa dalla polizia locale.

La notizia dell’arresto del numero 2 di Facebook ha alzato un vero e proprio polverone giudiziario: “Diego Dzodan si è rifiutato di collaborare con la giustizia negando delle informazioni utili agli inquirenti per quanto riguarda un processo penale per traffico di droga”. 

Queste le motivazioni date dalla polizia brasiliana per giustificare il fermo del vicepresidente Dzodan.

Il manager di Facebook è stato arrestato mentre si recava a lavoro poiché, secondo le dichiarazioni ufficiali della stessa polizia brasiliana, non si sarebbe presentato in seguito a due convocazioni del giudice del luogo (città di Lagarto) presentate allo stesso negli ultimi mesi.

Ma, analizziamo meglio i fatti per capire chi è Diego Dzodan e perché è stato arrestato.

Secondo le dichiarazioni della polizia locale, al momento unico elemento utile per porre in essere la ricostruzione dei fatti, “Facebook non ha collaborato a delle indagini, con al centro la piattaforma WhatsApp, in merito ad un processo penale per un grande traffico di droga”. Il giudice ha motivato la sua decisione dichiarando che la società che fa capo a Mark Zuckerberg non ha fornito dati fondamentali per le indagini, relative al profilo WhatsApp di alcune delle persone coinvolte. Ma ribadire chi è Diego Dzodan non è bastato a fermare l’arresto.

Era stato chiesto di poter accedere ai dati personali di alcuni degli imputati, poiché i messaggi privati degli stessi fornirebbero prove importanti per il processo penale suddetto.

Chi è Diego Dzodan vicepresidente di Facebook: ecco perchè è stato arrestato

La reazione del Gruppo Facebook, che gestisce anche la famosissima piattaforma di messaggistica istantanea WhatsApp, è stata molto forte e ovviamente contraria a quanto stabilito dal giudice. “Una pena estrema e non proporzionata ai fatti”: queste le dichiarazioni dei legali di Facebook. La vicenda ha sconvolto, e non poco, l’intero gruppo azionario capitanato da Zuckerberg.

Secondo quanto affermato dai legali del gruppo Facebook l’accusa mossa nei confronti dello stesso social network e nello specifico al vicepresidente Dzodan non poggia su solide basi. “Facebook ha sempre dato la massima disponibilità a collaborare con la giustizia, così come ha sempre fatto fino ad oggi”: queste le parole della difesa. La decisione del giudice Marcel Maia Montalvao ha solo gettato fango sulla società di Zuckerberg dando al mondo una immagine poco piacevole su chi è Diego Dzodan e allo stesso tempo sul modus operandi del gruppo.

Ma, il caso in questione non è un episodio isolato: sono in tutto tre i casi specifici in cui la società WhatsApp si è rifiutata di consegnare nelle mani degli inquirenti dei dati importanti per indagini in processi penali. I due episodi antecedenti a quello che sta creando non pochi danni di immagine a Facebook e alla sua dirigenza, hanno portato i giudici competenti a bloccare per diverse ore (nel primo caso per 2 giorni) l’accesso alla piattaforma WhatsApp. La privacy è stato il pilastro portante dell’azione legale di difesa nei tanto chiacchierati processi. Risultato? Il Tribunale di Appello ha tolto il blocco, annullandolo.

Facebook, WhatsApp e Apple a difesa della privacy dei propri utenti

Il braccio di ferro continua e WhatsApp, forte delle decisioni giudiziarie favorevoli nei casi precedenti, mette sempre come suo primo scudo il tema privacy. Questa la vicenda che ha permesso al mondo intero di capire chi è Diego Dzodan.

Il tema della privacy è stato ripreso anche in un altro recente caso in cui è tutt’ora coinvolta la società Apple. A seguito della proposta avanzata dall’Fbi di entrare nell’iPhone dell’autore della tremenda strage di San Bernardino (dicembre 2015), gli esponenti del gruppo Apple hanno dichiarato la loro contrarietà: “un precedente troppo pericoloso che va ad intaccare enormemente la sicurezza degli utenti”. 

© Riproduzione Riservata
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