Aron Hector Schmitz, meglio concosciuto con lo pseudonimo di Italo Svevo, nasce a Trieste nel 1861. Scrittore e drammaturgo italiano, la scelta del suo pseudonimo congiunge la sua duplice nazionalità (Trieste ancora città Asburgica e la Germania, visto che il papà era tedesco). Non era un letterato di professione, ma anzi si può definire un intellettuale autodidatta (un borghese con la mania della letteratura). Scriveva per "pensarsi", riflettere su di sè, quasi come uno scopo terapeutico di fronte al senso di vuoto che vedeva espandersi anche nella società. Nel suo romanzo "La Coscienza di Zeno", tuttò ciò sarà ripreso e e questo senso di vuoto verrà definito come una malattia dell'umanità. Tra il 1882 e il 1884, Svevo incontra la filosofia di Schopenhauer che gli permette di superare la sua iniziale attrazione verso il Naturalismo e di avvicinarsi al cosidetto "Inconscio". Rielabora la sua filosofia cogliendone l'idea che dietro i comportamenti apparentemente razionali del soggetto, agiscano spinte inconsapevoli delle quali la forza è sconosciuta. Tutto ciò spinge la sua letteratura verso l'analisi dell'interiorità e del suo fondo oscuro. Inizia così a crearsi una polarità ( che sarà poi la costante della sua narrativa) tra i personaggi che lottano e quelli che rinunciano e contemplano, da quì la figura "dell'Inetto", ossia quel personaggio che non riesce ad aderire alla vita e rinuncia perciò a vivere. La sua poetica risentì dei suoi studi fatti sul positivismo di Darwin e del Marxismo, su Schopenhauer e Nietzsche. Inoltre subì l'influenza di James Joyce per quel che riguarda l'incoscio e l'analisi del profondo, ma anche di Freud riguardo l'analisi della psiche, ma a differenza sua non credeva nella psicolanalisi come terapia. Svevo pensava fosse utile come strumento conoscitivo. La sua opera si può racchiudere nei tre romanzi "Una Vita"( 1892), "Senilità"(1898) e "La Coscienza di Zeno" (1919). Quest'ultima opera rappresenta una vera e propria innovazione del romanzo, facendo dell'autore il fondatore del romanzo novencentesco. Nel romanzo, infatti, distrugge lo schema ottoncentesco, in quanto il protagonista diventa narratore. Tutta la narrazione di Zeno Cosini è in continua oscillazione tra malattia e salute, si sente 'inetto' in cerca della guarigione e di equilibrio. Nel corso del romanzo racconta la sua storia in maniera ironica e al contempo tragica. Nel settembre 1928 l'autore morì in un incidente stradale a Motta di Livenza. La sua ultima opera "Il vecchione" rimase incompiuta.