Una ricerca di Carlo Devillanova, Università Bocconi, e Tommaso Frattini, University College di Londra, dMa svolgono solo le mansioni più elementari. Una ricerca di Carlo Devillanova, Università Bocconi, e Tommaso Frattini, University College di Londra, denuncia lo spreco di capitale umano insito nel fenomeno migratorio
La scolarità degli immigrati clandestini è mediamente superiore a quella degli italiani. Ciò nonostante, solo una metà di loro lavora, e sempre svolgendo le funzioni più elementari.
Lo hanno documentato Carlo Devillanova dell’Università Bocconi e Tommaso Frattini dello University College di Londra, utilizzando una fonte di dati unica in Italia per analizzare un fenomeno che, per la sua natura sommersa, è quasi impossibile da indagare in termini quantitativi: più di 10.000 profili di clandestini che si sono rivolti, in 18 mesi, al Naga di Milano, l’associazione di volontariato che presta assistenza sanitaria gratuita agli immigrati irregolari.
L’elaborazione evidenzia, inoltre, percorsi migratori e caratteristiche che cambiano moltissimo a seconda dei paesi di provenienza e mette perciò in guardia contro ogni tentativo di generalizzazione.
L’indagine individua una molteplicità di paesi di provenienza dei clandestini (92) mai rilevata in precedenza. Il 75% di loro proviene, comunque, da nove paesi: Ecuador, Perù, Marocco, Egitto, Romania, Sri Lanka, Albania, Ucraina e Senegal. I clandestini sono in maggioranza (57,7%) uomini, ma con grandi differenze etniche: i maschi superano l’80% tra egiziani e albanesi, mentre sono meno di un terzo tra ucraini, ecuadoregni e peruviani.
L’età media dei clandestini è di 31,8 anni, con i nordafricani che arrivano in Italia più giovani e i sudamericani relativamente più anziani. Le donne, con i loro 32,7 anni, sono più anziane degli uomini (31,2). Se coniugati e single sono sostanzialmente in parità, è però da notare che la percentuale di single è molto più bassa tra le donne (38,6%) che tra gli uomini (54,5%). A un’estremità dello spettro ci sono le donne ucraine (solo il 12% single), all’altra gli uomini marocchini (solo il 23,5% sposati).
Circa metà dei clandestini ha almeno un figlio (paternità e maternità sono più diffusi tra sudamericani ed europei, meno tra gli africani), ma non sappiamo se i figli vivano con loro in Italia.
Il dato più inatteso riguarda il livello di istruzione degli immigrati clandestini. Nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il 41,1% di loro dichiara di essere in possesso di un diploma di scuola superiore e il 12,1% di istruzione universitaria. Gli italiani della stessa età in possesso del diploma di scuola superiore sono il 33% e i laureati il 10%, secondo i dati Ocse. Le donne (38,6% diplomate, 13,3% laureate) sono mediamente più istruite degli uomini e i sudamericani, tra i quali prevalgono le donne, sono quelli con la scolarità maggiore.
“Il dato”, spiega Devillanova, “va letto con prudenza perché non esiste perfetta corrispondenza tra i diversi sistemi formativi. Ma i clandestini, come hanno dimostrato ricerche svolte in passato, sono mediamente meno istruiti degli immigrati regolari e la scolarità degli immigrati nel loro complesso è, perciò, nettamente superiore a quella percepita”.
L’alta scolarizzazione non si traduce nello svolgimento di lavori corrispondenti. Pressoché tutti i clandestini occupati (e sono solo il 54%) svolgono mansioni elementari, che vanno dall’assistenza domestica al facchinaggio, dall’impiego in edilizia alla vendita ambulante, in stridente contrasto con la loro istruzione e con gli impieghi in patria, dove solo il 15% svolgeva mansioni elementari e più del 5% era insegnante o professore.
“Questo genere di migrazione”, dice ancora Devillanova, “determina perciò un impoverimento del capitale umano dei paesi di origine (il cosiddetto brain drain), dal momento che migrano soprattutto i più istruiti e un conseguente spreco di questo capitale (il brain waste), quando le loro competenze non sono utilizzate nel paese di destinazione. Tale risultato mette in dubbio anche l’eventuale efficacia di politiche di selezione degli immigrati, dal momento che il loro livello di istruzione è già alto, ma il tessuto produttivo italiano sembra poco interessato alle loro qualifiche”.
“Sarebbero più utili, ed economicamente più convenienti”, aggiunge Frattini, “politiche volte a trasferire alcune skill dai paesi di origine a quelli di destinazione, come la semplice organizzazione di corsi d’italiano”.
Un’ulteriore elaborazione dei dati ha dimostrato che la scolarità e la conoscenza dell’italiano sono i fattori che più aiutano i clandestini a trovare un lavoro, mentre, a parità di ogni altra condizione, chi proviene dall’Africa sub sahariana ha meno possibilità di essere impiegato.