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Erasmus, quanto giova?

19 Giugno 2006
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24/04/2024

Le esperienze all’estero compiute durante gli studi coinvolgono undici laureati del 2005 su cento; sette di questi hanno girato il mondo con la borsa Le esperienze all’estero compiute durante gli studi coinvolgono undici laureati del 2005 su cento; sette di questi hanno girato il mondo con la borsa Erasmus o un altro programma dell’Unione Europea.

Una percentuale ancora bassa emersa dall’indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, presentata a Roma. Ma quanto serve andare a studiare all’estero? Ai fini del lavoro non molto: infatti ad un anno dal conseguimento del titolo chi ha un’esperienza di studio all’estero fatta con un programma dell’Unione Europea ha, in termini di occupazione, un vantaggio pressoché nullo rispetto a chi non è mai andato oltralpe per studiare (lavora il 53,4 contro il 52,7 per cento).
E le esperienze di studio all’estero offrono, ad un anno dalla laurea, un vantaggio molto contenuto anche dal punto di vista retributivo. Colpa di un sistema imprenditoriale italiano che ancora non è in grado di valorizzare questa esperienza. Ma andare all’estero rimane importante per chi sceglie gli studi universitari in un mondo sempre più globalizzato. Tra l’altro, a cinque anni dalla laurea, le percentuali degli occupati sono leggermente più a favore di chi ha compiuto esperienze di studi all’estero. E chi fa l’Erasmus sembra puntare più in alto, è più bravo negli studi e, forse, ha meno aspettative a breve scadenza.
Leggendo sempre i dati sulla condizione occupazionale, risulta che ad un anno dalla laurea il differenziale sul lavoro stabile è del 16,5% a sfavore di chi ha fatto una esperienza Erasmus. Il differenziale invece si ribalta (+8,9%) per chi lavora con contratti di formazione o atipici.
Il sistema delle imprese italiane è in grado, oggi, di valorizzare questo tipo di esperienza?
Per il professor Raimondo Cagiano De Azevedo, che insegna Demografia alla Sapienza, l’Erasmus ha un valore aggiunto che non si esaurisce in termini di occupabilità dei laureati. “I programmi Socrates ed Erasmus hanno rappresentato per molte realtà un’occasione di emancipazione familiare”, dice. “Dai comportamenti medioevali delle famiglie che non mandavano le ragazze all’estero, al comportamento assolutamente aziendale dell’investimento in conoscenza, non solo per le ragazze e per i ragazzi ma per gli stessi familiari”. L’emancipazione dei genitori si ripercuote su quella dei figli. “Molto spesso ci si emancipa con l’Erasmus, ora che il sistema militare o altri sistemi non rappresentano più forme di distacco dalla famiglia”. Per i ragazzi questo periodo all’estero non è solo un segmento importante del curriculum studiorum ma proprio un’esperienza per la vita. Inoltre, il programma Erasmus appartiene all’iniziativa europea del filone dal basso, cioè dell’Europa fatta dai protagonisti anziché dal sistema amministrativo.
C’è un valore aggiunto di cui si rende poco conto chi ha dimenticato ciò che ha preceduto il programma Erasmus nel sistema universitario: la lunga, faticosa e assai poco produttiva attività di riconoscimento reciproco dei titoli dei diplomi universitari.

© Riproduzione Riservata
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