Una realtà a dir poco
Figlia del gruppo COS, multinazionalie del call-centering, Atesia è il call-center più grande d’Italia. Una realtà a dir poco pionieristica, sia nel ramo delle telecomunicazioni che nella sperimentazione di forme contrattuali di ultima generazione. Sfortunatamente, per quanto possa risultare interessante la ridefinizione della figura del lavoratore atipico che Atesia ha da sempre portato come fiore all’occhiello grazie a orari, forme di retribuzione e possibilità di carriera quantomeno singolari, il risultato ad occhi esterni è paragonabile a una vera e propria fabbrica di precarietà, all’interno della quale circa un 5% dei suoi 4000 lavoratori gode di un contratto con un fisso mensile, ferie, malattie, maternità e trattamento di fine rapporto. Sono della stessa opinione alcuni dei lavoratori Atesia che da più di un anno hanno intrapreso una accesa protesta contro un’azienda il cui fatturato sembra continuare a crescere in maniera inversamente proporzionale alle buste paga dei suoi dipendenti. Anzi, dei suoi collaboratori occasionali: la maggior parte dei lavoratori Atesia non è nemmeno riconosciuta come dipendente.
Nato spontaneamente e indipendente dai sindacati confederali, il Collettivo Precari Atesia si è conquistato subito una posizione di tutto rispetto sul panorama nazionale della lotta contro la precarietà, distinguendosi per una verve comunicativa più unica che rara: all’interno dell’azienda hanno lanciato la stampa e la diffusione periodica di un giornalino gratuito di contro-informazione sugli sviluppi “nascosti” di accordi tra sindacati e azienda, nuove assunzioni e nuovi licenziamenti (esiste una folta lista di licenziati politici in rapida espansione), novità sugli sviluppi contrattuali e sui provvedimenti delle istituzioni nei confronti dell’azienda. E’ fissata per gli ultimi mesi del 2006 un’ ulteriore scadenza contrattuale senza rinnovo su vasta scala, a fronte della quale si prospettano nuove manifestazioni di dissenso.
All’esterno dell’azienda dimostrazioni, convegni, dibattiti e contatti con ministeri e organi politici di ogni tipo non sembrano ancora bastare per smuovere lo stallo in cui verte una situazione di emergenza sociale ancora, tristemente, irrisolta.