Il lavoro al quale faceva riferimento, e che lo stesso Catricalà ha presentato, il 5 giugno, nell’Aula Magna dell’Università Bocconi, è Concorrenza. Il segreto bipartisan della prosperità americana (Università Bocconi editore, Milano, 2006, 320 pagine, 18 euro) di Paul A. London.
La prosperità americana degli anni ’90 e la ripresa dalla crisi economica del 2001 non trovano spiegazione nella politica monetaria di successo, nell’uso strategico della spesa pubblica, nel contenimento delle tasse o nello sviluppo tecnologico, come hanno affermato nel tempo economisti e politici, ma “in oltre vent’anni di scelte politiche bipartisan che hanno inciso sui singoli settori, provocando un’intensificazione della concorrenza al loro interno”, sostiene l’autore, uno studioso che ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’amministrazione Clinton.
Gli eroi della crescita americana, secondo London, non sono stati i vari Paul Volcker e Alan Greenspan, ma personalità innovative e controverse come Ken Iverson di Nucor, Jack Goeken di Mci, Sam Walton di Wal-Mart e il finanziere Michael Milken, che hanno scardinato gli equilibri monopolistici che governavano la siderurgia, le telecomunicazioni, la distribuzione e la finanza americane, quasi sempre dopo avere vinto lunghe battaglie politiche e legali scatenate dai monopolisti a difesa dei propri privilegi.
Il libro ha attirato l’attenzione di Mario Monti, già commissario europeo alla concorrenza, che ne trae un chiaro messaggio per l’Italia. “Molte forze politiche”, scrive nella Prefazione, “hanno finora cercato di ottenere ‘rendite’ elettorali rinunciando a combattere a fondo le rendite economiche, generate dalla scarsa concorrenza. Solo se le varie forze politiche decideranno insieme di non inseguire quelle ‘rendite’ elettorali, i pubblici poteri troveranno la forza per prevalere sulle resistenze corporative, che costituiscono il principale ostacolo a un’economia più dinamica e più giusta”.
London non nega che i grandi operatori e i sindacati dei settori citati, nonché dell’industria automobilistica e dei trasporti aerei, costituissero importanti centri di potere che si sono opposti all’affermazione della logica concorrenziale, ma sostiene che i principi affermati dai padri fondatori degli Stati Uniti salvaguardino la concorrenza non solo politica, ma anche economica.
Gran parte dei presidenti del Dopoguerra, repubblicani o democratici che fossero, e i giudici delle corti che sono stati chiamati a esprimersi sulle controversie in tema di concorrenza hanno finito per dare ragione ai nuovi attori. E un importante contributo va riconosciuto al rafforzamento della legislazione antitrust, che si è consolidata nel corso degli anni ’50 e ’60.
La storia raccontata da London è una storia di conquista della concorrenza, di superamento di resistenze. Come ogni opera che dà una coraggiosa spiegazione monocausale a fenomeni complessi, il libro di London è destinato a far discutere in modo acceso. Ha comunque il grande merito di chiarire una volta per tutte che la concorrenza, anche nel paese che sembra incarnarla, non è uno stato naturale, ma un obiettivo da perseguire con forza, in contrasto con potenti interessi costituiti. La concorrenza non è, inoltre, raggiunta una volta per tutte. Al mutare dello scenario economico, si impongono nuovi provvedimenti, nuove iniziative, nuove azioni legali, perché le spinte monopolistiche degli attori già affermati sono fortissime. London vede l’affermazione della concorrenza come un processo e sottoscrive la visione di Adam Smith, secondo cui “i cambiamenti non dovrebbero mai essere apportati all’improvviso, ma piuttosto gradualmente, lentamente e dopo numerosi avvertimenti”. Ma alla fine il cambiamento deve arrivare. I prossimi settori ad esserne investiti, auspica London, l’educazione e la sanità. La prossima area geografica, auspica Monti, l’Europa.