Qualcuno parlerebbe di intrinseca finzione sottesa a
I mass-media sono pronti a mostrarci sempre una visione parziale della realtà intorno. Qualcuno parlerebbe di intrinseca finzione sottesa alle immagini che, quotidianamente, invadono le nostre case. E’ la guerra virtuale che, negli ultimi tempi, in particolare dopo l’11 settembre 2001, ci sta rendendo forse un po’ più consapevoli dell’esplosivo scenario geopolitico mondiale nel quale viviamo. Da una parte l’Occidente secolarizzato ed economicamente avanzato, dall’altra un Oriente (islamico, fedele alla sharia, la legge del Corano) sempre più restio ad accettare canoni di vita individualizzanti. Spesso, però, si rischia di semplificare troppo il quadro di una situazione già di per sé difficile da interpretare; spesso si rischia di dimenticare che, sebbene ci si senta assediati da flussi migratori che, a lungo andare, ci costringeranno, nel bene e nel male, a fonderci con altri cittadini del mondo, in realtà il nostro “posto al sole”, fatto di lavoro e sicurezza, benessere e affetti familiari, non ci sarà sottratto così facilmente. Basti pensare alle popolazioni di Paesi quasi sconosciuti, solo perché l’”obiettivo” della nostra coscienza mediatica distoglie indifferentemente lo sguardo. E’ il caso del Darfur, regione occidentale del Sudan, il più esteso Stato del continente africano, grande quanto la Francia. Qui, è dal 1983 che la guerra civile imperversa tra i gruppi ribelli Jem (Justice and Equality Movement) e Sla (Sudan Liberation Army) contro le milizie governative fiancheggiatrici delle violente armate dei Janjaweed, cavalieri armati di spada colpevoli di terribili soprusi ai danni dei civili del Darfur. Tra le ragioni del conflitto ci sarebbe la rivendicazione di una maggiore partecipazione ai profitti petroliferi da parte dei gruppi ribelli, nonché le istanze delle comunità africane Fur, Zaghawa e Masaalit nei confronti della popolazione araba sudanese, nel quadro di risorse estremamente scarse. Non a caso gli insorti sarebbero legati alla figura di Hassan al-Turabi, capofila dell’opposizione contro il regime islamista di Omar Hassan Ahmad al-Bashir, al potere a Karthoum dal 1989. A dispetto della presenza delle forze dell’Unione Africana (circa 7 mila uomini), le ultime statistiche ci parlano di 350 mila morti e di 2 milioni di rifugiati, tra i quali 200 mila profughi solo nel vicino Ciad. Intanto, la decisione dell’Unione Africana di passare il testimone all’Onu ha trovato dinanzi un diffidente governo sudanese, disponibile solo a patto che si raggiunga un accordo di pace coi ribelli. Il negoziato si è tenuto ad Abuja, capitale della Nigeria, ma il testo presentato lo scorso 23 aprile, da firmare entro la fine dello stesso mese, non ha trovato ancora un punto d’incontro tra ribelli e governo. “Gran parte delle nostre richieste sono rimaste inevase”, ha spiegato Esam Elhag, portavoce del Sudan Liberation Army, all’inviato del “Corriere della Sera”, Massimo Alberizzi; “Non abbiamo garanzie sul disarmo delle milizie janjaweed, né su una vicepresidenza della Repubblica da assegnare a noi”.