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Vita da Dottoranda

2 Luglio 2010
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20/04/2024

Sveglia alle 6:20 del mattino, un vagone affollato, arrivo in laboratorio ed otto ore di lavoro (quando va bene), per tornare a casa a tramonto inoltrato.

E’solo questo il mio lavoro?

Passione, solo questa la risposta. E’ sorridere ai fondi che non ci sono, alle strutture non sempre adeguate, alle riparazione per ovviare alle impossibili sostituzioni. In Italia la ricerca soffre, non sono la prima e purtroppo non sarò l’ultima a sostenerlo. Eppure io credo ancora che un po’ di speranza ci sia. Quando guardo i miei colleghi dopo una giornata di lavoro intensa, distrutti dalla fatica, ancora tutti in laboratorio, mi accorgo, nonostante le tante difficoltà, una luce accesa nei loro occhi, quella voglia di fare, nonostante le rinunce, le avversità e le amarezze, sento un calore che mi riscalda l’anima. E mi ricordo soltanto che bisogna continuare a lottare, sempre, per i propri ideali.

Quando mi sono iscritta all’Università sognavo un dottorato di ricerca. Ed ora, da vicino, le cose non sono come avrei sperato. Ma la ricerca, in qualsiasi campo, è e deve continuare ad essere ancora fonte di speranza.

Per noi che “ci siamo dentro”, è innanzitutto fare qualcosa in cui si crede, è creare nuove opportunità, è dare ed avere nuove idee utili per il futuro, con la volontà di una crescita continua, personale e collettiva.

Quando mi è stato chiesto di parlare della mia esperienza lavorativa all’Università, non avevo bene in mente cosa avrei detto, di cosa avrei parlato. Così ho deciso di lasciare via libera ai miei pensieri, alle emozioni. Sono fin troppi i commenti che si sentono in cui troviamo esclusivamente lamentele e racconti di delusioni in questo campo, sull’Università, e su chi ne decide le sorti, sull’assenza di opportunità per il futuro e talvolta per il presente. Non è questo che voglio lasciare.

L’università è ancora un posto in cui crescere e formarsi, dà ancora qualcosa di buono a chi ci studia ed a chi ci lavora. Citerò una frase che ho sentito all’ultimo convegno a cui ho avuto la fortuna di partecipare, come uditrice e relatrice: “Bisogna fare, saper fare, e far sapere quello che si fa”. Il resto, lasciamolo alla cronaca.

Marina Ceruso

Dottorando di Ricerca, Università degli studi di Napoli “Federico II”

© Riproduzione Riservata
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