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Mezzogiorno dell’animo

5 Dicembre 2011
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16/04/2024

È uscita a novembre l’ultima silloge poetica di Enrico Pietrangeli edita con la CLEUP di Padova e dal titolo “Mezzogiorno dell'animo”.

La raccolta si suddivide in dodici sezioni compiendo un ciclo sul dolore con testi perlopiù compilati a partire dall’epilogo di un altro ciclo, quello della scorsa rassegna estiva di poesia e bicicletta denominata CicloInVersoRoMagna 2011, manifestazione da cui prende spunto lo stesso incipit del libro e che, per il secondo anno consecutivo, ha visto l’autore operare a fianco di Gloria Scarperia insieme ad altri alternatisi. A seguire viene riportata una nota critica al testo realizzata da Dante Maffia.

Enrico Pietrangeli è un poeta appartato che osserva di continuo ciò che accade nel mondo, attorno a sé e dentro di sé senza gridare e senza sbracciarsi, convinto che la poesia sia un momento talmente individuale da dover escludere sempre il principio del confronto sincopato. Egli macera gioie e dolori in un crogiuolo di sentimenti che lo rendono prezioso spettatore-interprete di una sensibilità molto particolare e suggestiva.

Questo libro ha qualcosa di intrigante e di sfuggente, qualcosa di angelico e di diabolico, ovviamente non in lotta tra loro, ma quasi in combutta, come se da un dialogo inedito dovesse scaturire l’essenza nuova del vivere.
I versi – interrotti da un breve racconto – sono scanditi in vibrazioni che illuminano aspetti impensati di una realtà interiore che ha necessità di canto e di preghiera. E infatti ci sono momenti di invocazione che squarciano il senso e lo fanno deflagrare e lo ricompongono per fare in modo che la verità non si nasconda e non recrimini.

Della poesia di Enrico Pietrangeli piace la semplicità, quel modo diretto di dire le cose senza confonderle con eccessi di metafore o di metonimie, con accensioni esagerate di motti filosofici o pseudo tali. La sua necessità è quella di chiarire innanzi tutto a se stesso il fluire del tempo, del vivere e del morire.

Al fondo c’è il fuoco dell’amore che si spande su ogni frase, direi su ogni parola, per trovare quella parte di se stessi che a volte si perde nei meandri del pensiero. Perché Enrico è uno che pensa e sogna, e che è capace di scendere nell’inferno per risalire non dico purificato, ma alleggerito di quel qualcosa che pesava nel rapporto con l’umano e con il divino.

Credo che addirittura ci sia una punta di essoterismo in quel che Enrico scrive, una punta di filosofia che si apre a ventaglio sui problemi dell’essere. Ecco perché il libro è compatto e ben delineato, libero da interferenze liriche azzardate e lontano da approssimazioni genericamente teologiche. Il poeta ha consapevolezza del peso della parola e la adopra con oculatezza per non dire parsimonia e di conseguenza il suo dettato appare denso di umori, con grumi irrisolti ma anche con domande senza risposte, con necessità di riscontri.

In un mondo ormai privo di serietà mi sembra che questa tensione etica di Enrico sia un balsamo che fa bene sperare.

© Riproduzione Riservata
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