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I capolavori della storia del rock duro 2: Deep Purple – “Made In Japan” (1972)

22 Giugno 2006
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20/04/2024

Per un rocker, questo disco dal vivo dei Deep Purple dovrebbe equivalere come importanza alla Bibbia per i cristiani.

Chi non lo possiede, o non l

Per un rocker, questo disco dal vivo dei Deep Purple dovrebbe equivalere come importanza alla Bibbia per i cristiani. Chi non lo possiede, o non lo ha almeno ascoltato con attenzione, semplicemente si è perso fino ad ora il meglio del Rock duro targato anni ’70.
Partiti come un ameno gruppo di musica Pop verso la seconda metà degli anni ’60, i Deep Purple, guidati dai grandi Ritchie Blackmore (il miglior chitarrista di sempre, per chi vi scrive) e John Lord (splendido tastierista di estrazione classica), nel 1970, in concomitanza con l’omonimo album d’esordio dei Black Sabbath, altro gruppo storico della heavy music, approdarono ad un tipo di musica più pesante con il leggendario album “In Rock”, che in quel periodo mostrava un sound di una pesantezza mai ascoltata prima, sorretto dai riffs granitici e neoclassici di Blackmore, oltre che dalle fantasiose fughe di Lord sui tasti d’avorio del suo organo Hammond. Completavano quella line up da sogno il dotatissimo cantate Ian Gillian (un’ugola d’oro vera e propria, ancora più affascinante dal vivo che su disco, come tutti i veri grandi), il bassista Roger Glover e il batterista Ian Paice (che insieme a John Bohnam dei Led Zeppelin costituiva la coppia di drummer migliore di quel tempo).
Nell’arco di brevissimo tempo, i Deep Purple diedero alle stampe altri due album capolavoro, corrispondenti ai titoli di “Fireball” e “Machine Head”. E’ da questo trittico clamoroso di album che sono stati estratti i pezzi contenuti in “Made In Japan”.
Già le premesse, quindi, indicavano la possibilità che si potesse giungere ad una grande opera.
E la realtà, come a volte accade, ha superato di gran lunga ogni più rosea fantasia.
E’ risaputo che le grandi band si differenziano dai gruppi ordinari soprattutto in virtù della propria resa sul palco. Sono davvero grandi quei musicisti che, dal vivo, riescono a rendere le loro canzoni più intriganti di quanto non lo siano ascoltandole su un album.
In tutto questo i Deep Purple, specialmente in questa loro prima e inimitabile formazione, si sono sempre rivelati maestri.
“Made In Japan”, nella versione rimasterizzata su cd che abbiamo preso in esame (ma è ovvio che certi album andrebbero ascoltati in vinile…), e che è facilmente reperibile a prezzo scontato, consta di due dischetti: il primo immortala la versione originale dell’opera, quella che gli appassionati conoscono dal 1972; mentre il secondo cd presenta delle gradevolissime bonus tracks, estratte da altre serate di quello stesso trionfale tour in Giappone.
Il Live inizia con la speed song “Highway Star” (da “Machine Head”), in cui il cantato aggressivo ma pulito di Gillian si sposa con duetti di chitarra e Hammond veramente da antologia.
La seguente “Child In Time” (da “In Rock”) è un autentico mito. La canzone migliore del repertorio ormai quarantennale dei Deep Purple suonata dalla loro migliore formazione di sempre. Il lungo assolo di Blackmore in essa contenuto è entrato negli annali della musica di qualità, indipendentemente dalle stantie barriere di genere. Gillian, in questa canzone, si dimostra la vera voice of rock, con buona pace, a mio modesto avviso, dei vari Hughes, Dio e Coverdale (che comunque rimangono tre fenomeni, beninteso). Ascoltare per credere.
Subito dopo viene “Smoke On The Water” (da “Machine Head”). Chi non la conosce? Anche il più incallito fanatico di Britney Spears – e purtroppo pare ne esistano – non può non aver ascoltato almeno una volta il riff portante di questa canzone (che è stato saccheggiato anche per la realizzazione delle sigle per alcuni programmi televisivi di dubbio gusto…). Ancora oggi, i Deep Purple ripropongono questo pezzo ad ogni occasione importante che li vede invitati. Se c’è una manifestazione tipo “Pavarotti and Friends”, o “Live 8”, in cui la band albionica viene invitata per suonare, magari in fretta e furia, un pezzo esemplificativo della propria carriera, state pur certi che Steve Morse (l’attuale sostituto di Blackmore) attaccherà il riff di “Smoke On The Water”.
Francamente, questo comportamento nel tempo mi ha un po’ fatto odiare questa canzone, che di per sé è ottima, ma scompare al paragone dei veri, grandi classici dei Deep Purple.
Comunque, al di là delle mie idiosincrasie, la canzone funziona alla grande e il contesto live la nobilita non poco.
“The Mule” (da “Fireball”) la ricordiamo soprattutto per il terremotante lavoro del batterista Paice.
“Strange Kind Of Woman” (da “Fireball”) vede degli splendidi duetti tra la voce di Gillian e la chitarra del mitico Ritchie.
Il boogie di “Lazy” e la lunga “Space Truckin’” ( entrambe da “Machine Head”) chiudono questa splendida esibizione di tecnica e sentimento al servizio del Rock duro.
Il secondo cd contiene altri tre ottimi pezzi: “Black Night” (da “In Rock”), “Speed King” (sempre da “In Rock”) e “Lucille”, cover di Little Richards.
Cosa altro vi serve? Andate a procurarvelo, con le buone o le cattive!

© Riproduzione Riservata
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