Hanno perfettamente chiaro il concetto, ma si r
E’ il risultato di una ricerca san Paolo/Eurisko: i giovani italiani hanno paura della vocazione. Hanno perfettamente chiaro il concetto, ma si riconoscono “nelle” vocazioni, non univoche, della quotidianità: fare i genitori (63%), gli assistenti sociali (80,8%), gli scrittori (80%). Persino il matrimonio è visto come una vocazione: per il 53,5% ci vuole una chiamata pure per sposarsi. Oltre a questo, il 92,4% degli intervistati riconosce il valore della vocazione nella scelta della vita ecclesiastica. A conti fatti, uno su dieci ha ponderato l’idea di dedicarsi al Signore, ma la vocazione non è bastata. I giovani preferiscono votarsi a sé stessi, ed elencano tutta una lista di scrupoli considerati inammissibili: la possibilità di scegliere in seguito un’altra vita (36,1%), l’onere di una responsabilità eccessiva (27,3%). Tra questi, al rinuncia al matrimonio e ai figli per il 55% dei casi – che siano gli stessi del matrimonio come vocazione?
Ma la remora più grande viene dalla paura della solitudine: troppe rinunce, associate ad uno stile di vita che fa paura perché troppo contemplativo. Chi considera l’idea di farsi prete o suora, in effetti, lo fa raramente sulla base di un esempio da seguire: più spesso per crisi adolescenziali (60%) o per conflitti amorosi o familiari (40%). Insomma: mi faccio prete per escludermi da questo mondo ingiusto. Poiché la vocazione passa presto (per il 61,3% in meno di un anno), quello che resta è il compatimento per chi non ce l’ha fatta. I ragazzi auspicano che chi ha scelto di essere religioso possa almeno vivere tra la gente: 73,3% nel terzo mondo, 59,6 tra giovani ed emarginati, 57% con gli ammalati.
Protagonisti oltre 1000 ragazzi della fascia 16-29 anni, interrogati nell’Ambito dell’Anno Vocazione celebrato dalla Famiglia Paolina. Mons. Rino Fisichella, Rettore della Pontificia Università Lateranense, ha commentato che il valore del sacro sia sottomesso al primato della realizzazione di sé. Franco Garelli, che ha coordinato la ricerca come Preside di Scienze Politiche a Torino, sostiene che la concezione vocazionale di vita stia perdendo il connotato religioso.
Pareri meno altisonanti vorrebbero mettere in riga tutti questi ragazzini viziati a cellulare e mini-auto, e spedirli a lavorare in missione. Allora sì che gli verrebbe tanta voglia di sposarsi, fare figli, suonare, cantare, scrivere o chissà cosa altro, senza nessuna vocazione particolare.