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Lockdown: significato, cos’è, e quando viene applicato il protocollo

Daniela Saraco 7 Aprile 2020
D. S.
18/03/2024

Significato della parola Lockdown: ecco cosa significa, etimologia del termine, sinonimi, cosa c'è da sapere sul protocollo, chi e quando lo applica.

Con la definizione di lockdown intendiamo una zona isolata e ad alto rischio ambientale, sociale  o  sanitario dove non è possibile fare assembramenti, dunque riunirsi e stare insieme ad altre persone, impossibilità di stare in gruppo. Dunque la parola definisce il blocco totale di un Paese, di un luogo circoscritto o esteso. Infatti, nei territori chiusi  le  persone sono isolate dalle altre e da qualsiasi attività, commerciale, sociale e  fisica.

La sua definizione va comunque contestualizzata perchè può avere appunto molteplici origini. Difatti, stiamo  parlando di un protocollo applicato nei casi  di emergenza che impedisce alle persone di vivere normalmente la propria quotidianità. Questo per salvaguardare la salute e  la vita propria .

Il lockdown, corrispondente all’italiano come  chiusura totale, definisce una emergenza e le pratiche individuali da adottare per evitare rischi. E’ una misura di sicurezza in cui è necessario rimanere all’interno di un paese, un edificio, una prigione, una scuola o un ospedale per un periodo limitato. Il blocco, infatti, impedisce di lasciare una determinata area.

Durante la pandemia di coronavirus 2019-2020, numerosi paesi hanno utilizzato questo protocollo per evitare la diffusione della malattia. Difatti, la Cina, seguita poi dalla Corea del Sud e dall’Italia, e da altri stati, ha bloccato lo spostamento dei propri cittadini dentro i confini nazionali e l’ingresso di stranieri provenienti da altri paesi. Di conseguenza gli stati sono blindati in regime di massima sicurezza. Ma cosa significa esattamente lockdown? Vediamolo nel dettaglio.

Cosa significa Lockdown: significato della parola inglese, etimologia del termine e sinonimi

Il termine è di  origine americana e  ha due significati:

  • l’isolamento dei detenuti nella propria cella come misura temporanea di sicurezza, nei regimi di carcere duro. In questo caso deriva  dal verbo americano lock somebody down, confinare in cella;
  • misure di emergenza in una situazione di pericolo in cui per questioni di sicurezza viene impedito temporaneamente di entrare o uscire da un’area a cui è stato limitato l’accesso.

I suoi sinonimi sono:

  • isolamento,
  • blocco,
  • chiusura
  • detenzione.

Ci sono dunque diverse definizioni per il termine. Il più usato è per indicare uno stato di contenimento o una restrizione. Anche nel campo informatico è possibile l’isolamento di reti telefoniche o di pc per contrastare minacce o haker. La parola può avere anche indicare il periodo di isolamento a casa.

Nel 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato ad applicare questo protocollo  con le misure di contenimento da COVID-19. Dunque, il termine in questo caso descrivere i provvedimenti di emergenza presi per contenere la diffusione del virus, un “confinamento” che bloccava il contagio.

Protocolli di confinamento per emergenza: quali sono e differenze

Le minacce ambientali e sanitarie stanno costringendo i Paesi di tutto il mondo a rivedere, adeguare e rendere obbligatori piani per le emergenze. In passato i piani di sicurezza erano rivolti a gestire particolari malattie e minacce terroristiche. Oggi, invece, servono a garantire un adeguato livello di protezione in varie situazioni di emergenza. Esistono vari livelli di blocco.

Ad esempio, un blocco completo prevede che le persone rimangano nel luogo in cui si trovano, senza poterne uscire. Un blocco parziale, invece, restringe le attività sociali ma non le blocca pienamente. In questo caso parliamo di mild-lockdown.

Non sono pochi gli eventi storici che hanno costretto le popolazioni all’isolamento. Tra questi ricordiamo:

  • nel settembre 2001, durante l’attentato alle Torri Gemelle, New York è stata in blocco per tre giorni;
  • nel 2005  l’Australia era in isolamento per contenere la rivolta di Cronulla;
  • il 19 aprile 2013 Boston è stata isolata e tutti i trasporti pubblici sono stati fermati, per ricercare i terroristi  sospettati dell’attentato alla maratona di Boston;
  • nel 2015, Bruxelles è stata bloccata per giorni mentre i servizi di sicurezza cercavano i sospetti coinvolti negli attacchi terroristici di Parigi.
  • nel 2020, il Coronavirus colpisce il mondo costringendolo a misure di contenimento severe.

Il protocollo d’emergenza, non va confuso con i protocolli di confinamento. Nel primo caso i Paesi sono bloccati. Nel secondo, invece, il Governo attua delle misure per la gestione delle emergenze. Tra queste ricordiamo:

  • piano operativo di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere: misure per difendere e gestire l’inquinamento marino. Non ultimo l’episodio della Sea Amazon che ad agosto 2019 ha riversato carburante nel mare di Salerno;
  • procedure di sicurezza  terremoti: gestione dell’emergenza con determinate regole da seguire come è accaduto all’Aquila nell’Aprile 2009.
© Riproduzione Riservata
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Daniela Saraco Sona una donna, una madre, una docente. Scrivo di scuola e di formazione perché è il mio mondo quotidiano. La Direzione di Controcampus mi ha affidato la rubrica sulla scuola, per aiutare a capire meglio le notizie che raccontano la realtà scolastica, con pochi e semplici passaggi: • Cronaca, ossia il racconto dei fatti interessanti accaduti nel mondo della scuola • Inchiesta, è l'approfondimento di un tema attraverso ricerche e interviste. • Intervista, è interessante fare due chiacchiere con una persona particolare che ci può raccontare un'esperienza o una sua opinione. Perché è così difficile raccontare la scuola sui giornali? Perché è difficile trovare giornalisti davvero specializzati nel settore, che ha le sue caratteristiche peculiari e anche il suo lessico giuridico. Far scrivere un articolo sulla scuola a qualcuno che non sa cosa sia un PTOF, ignora le direttive delle ultime circolari ministeriali, non conosce la differenza fra un concorso abilitante per entrare in ruolo e uno aperto solo agli abilitati è come affidare la spiegazione di un discorso finanziario a un giornalista che non mastica neppure i termini base dell'economia. Gli articoli che riguardano la scuola e i suoi problemi, solitamente, nelle redazioni ormai sono affidati in molti casi a cronisti generici. Questo perché, mancando pagine specializzate e un interesse continuativo per il settore, l'articolo parte quasi sempre da un fatto specifico di cronaca spicciola avvenuto in tale o tal altro istituto, e che viene portato a conoscenza dei media da persone estranee alla scuola stessa. Io, invece, essendo ferrata sulle normative del settore e sui termini tecnici e avendo una memoria storica consolidata di quanto è avvenuto in precedenza, racconto episodi e avvenimenti di cui capisco la reale sostanza. Una scuola non ha un ufficio stampa o un addetto ai rapporti con i media, il Ministero non interviene se non con scarni comunicati che riguardano cose sue, i Presidi si trovano a dover rispondere a domande che rischiano di toccare particolari aspetti della privacy degli alunni e che, se rivelati incautamente, possono avere pesanti ripercussioni sulle vite di ragazzi spesso minorenni. Ecco perché risulta importante e necessario far scrivere di scuola a chi la scuola la fa! Leggi tutto