Gabriel Hanot era stato calciatore e commissario tecnico della nazionale transalpina, ma poi aveva deciso di intraprendere la carriera di giornalista. Era una delle più illustri firme di “France Football” quando nel ’54, il “Daily Mail” titolò: «Salutiamo i Wolves, ora campioni del mondo». Gli inglesi del Wolverhampton avevano vinto due amichevoli in casa contro Spartak Mosca e Honved, futili successi che avevano acceso l’entusiasmo del dirigente Stanley Curtis. A quel punto Hanot lanciò la prima sfida:«Prima di proclamare l’invincibilità del Wolverhampton, aspettiamo almeno che replichi i suoi successi a Mosca e a Budapest. Ci sono altri grandi club che potrebbero aspirare a quel titolo, come il Milan e il Real Madrid. L’idea di un campionato del mondo (o almeno di Europa) per club più ampio meriterebbe comunque di essere lanciato». Nacque così la Coppa dei Campioni, cui seguì due anni dopo una nuova idea:«Se avessimo chiesto solo due anni fa ai giornalisti europei di designare i migliori calciatori del Vecchio Continente, molti di loro non avrebbero avuto a loro disposizione i necessari strumenti di giudizio e la consultazione ne avrebbe risentito. Ma la Coppa Europea, con i suoi incontri di andata e ritorno, con il moltiplicarsi dei match internazionali e anche lo spazio sempre maggiore riservato agli avvenimenti internazionali da giornali come “L’Equipe” e “France Football”, che sono letti in tutta Europa, hanno reso familiari ai nostri colleghi di Londra, Milano, di Belgrado o di Stoccolma le squadre e i giocatori europei. E’ per questo che il referendum al quale abbiamo pensato per tentare di stabilire i migliori giocatori d’Europa del 1956 ha veramente un senso».
Ad un giornalista di ognuna della sedici nazioni allora affiliate all’UEFA fu consegnata una lista dei cinquanta migliori calciatori d’Europa scelti dalla redazione di “France Football”. I giurati dovevano scegliere cinque nomi da elencare in ordine di preferenza; al primo sarebbero andati cinque punti, al secondo quattro e così via fino al quinto. Nella scelta , oltre alle singole prestazioni, si doveva tener conto anche delle vittorie ottenute col club di appartenenza e con la propria nazionale. Oggi il jury è composto da cinquantatre giornalisti e dal 1995 sono in lizza anche i calciatori extracomunitari militanti in squadre europee. Il limite più rilevante della manifestazione si denota nel fatto che vengono eccessivamente trascurati campioni straordinari, ma con scarse propensioni offensive. E’ evidente che l’assegnazione del premio vada spesso a braccetto con i principali eventi sportivi dell’anno solare, quali i Mondiali o la Coppa dei Campioni, che consacrano giocatori già affermati a fuoriclasse assoluti.
Comunque sia, il 18 Dicembre 1956, dalle mani dello stesso Gabriel Hanot che lo definì “il Charlie Chaplin del football”, Stanley Matthews riceve il primo Ballon d’Or della storia. Matthews, inglese del Blackpool, aveva quarantuno anni ed era un’ala destra dal dribbling micidiale e dalla genialità infinita in tutte le sue giocate. Pur vincendo solo una Coppa d’Inghilterra in oltre trent’anni di carriera, si trattò di un riconoscimento giustissimo, per un calciatore che appenderà le scarpette al chiodo solo nove anni dopo, alla soglia delle cinquanta primavere. Ma erano quelli gli anni del “Grande Real” di Santiago Bernabeu, che vinceva in lungo e in largo ed aveva in Alfredo Di Stefano e Raymond Kopa le stelle più lucenti, capaci di monopolizzare il trofeo tra il 1957 e il 1959. La “Saeta Rubia” è stato forse il calciatore più completo della storia. Argentino con passaporto colombiano, ottenne quello spagnolo nel ’55, divenendo il simbolo dell’Armada Blanca che vinse le prime cinque Coppe Campioni. Il 17 Dicembre 1957 gli fu consegnato il Pallone d’Oro la prima volta, due anni dopo la seconda; in mezzo il suo compagno di avventure francese, decisivo nella finale di Bruxelles contro il Milan pur senza segnare. Con la nascita della Coppa Intercontinentale, le “merengues” continuarono la loro ascesa verso il mito, ma “France Football” premiò l’acerrimo nemico Luisito Suarez, vincitore col suo Barcellona della Liga spagnola. Il 1961 portò per la prima volta il premio nel “bel Paese”, tra le mani del “Cabezon” Omar Sivori, argentino naturalizzato italiano che aveva esordito in azzurro meno di sei mesi prima, a coronamento di quattro anni in cui aveva vinto tre scudetti. Poi niente per sette anni. Anni in cui a Parigi ci andarono campioni come Josef Masopust, regista “prigioniero” del Dukla Praga (disse a fine carriera:«Non ho mai potuto scegliere: il Dukla era un club molto potente. Di più, il simbolo stesso del potere. Solo a trentasette anni mi consentirono di espatriare») che fornì alla Cecoslovacchia l’occasione di sfiorare il successo nei Mondiali cileni, o l’insuperabile baluardo della Dinamo Mosca Lev Jascin, unico portiere a ricevere il riconoscimento, per poi passare allo scozzese Dennis Law, a Eusebio ( stella afro-portoghese del Benfica che disputò quattro finali di Coppa Campioni tra il 1961 e il ’65 vincendone due) e Bobby Charlton, campione del Mondo con la sua Inghilterra nel ’66, concludendo con Florian Albert, ungherese del Ferencvaros considerato l’erede di Puskas e Hidegkuti, e George Best, croce e delizia dei tifosi del Manchester United ed autore del gol-partita nei supplementari della finale di Coppa Campioni ’68 a Wembley contro il Benfica. Solo nel 1969 i giurati si arresero a Gianni Rivera, fantasista del Milan che con i suoi assist strapazzo l’Ajax al Chamartin di Madrid. Quel tracollo che sapeva di umiliazione, fu invece il principio dell’ascesa al potere di una scuola e una filosofia che hanno cambiato questo sport: il calcio totale. Giusto il tempo di lodare Gerd Müller e l’Arancia meccanica cominciò a dare lezioni a tutti sia con i “Lancieri” di Amsterdam che con la nazionale olandese: tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, un secondo posto ai Mondiali e quel gioco a tutto campo cui nessuno era in grado di resistere. Simbolo del calcio totale era Johan Cruijff, paragonabile per la sua completezza solo a Di Stefano: il bomber, il regista, il capitano di una squadra che giocava da sola, facendo tutto in automatico. Fu il primo a vincere tre Palloni d’Oro; nel ’71, nel ’73 e nel ’74, questi ultimi due quando si trasferì al Barcellona di cui sarebbe poi divenuto anche allenatore. A negargli il poker era stato Franz Beckembauer, che sfruttò al meglio la vittoria degli Europei 1972 con la sua Germania Ovest, per ripetersi quattro anni dopo quando il Bayern Monaco vinse la terza Coppa dei Campioni di seguito. Nel ’75 ci fu il secondo sovietico: Oleg Blochin da Kiev, mentre nel ’77 fu l’unico danese, l’attaccante del Borussia Mönchengladbach Allan Simonsen (autore tra l’altro di 45 reti nelle coppe europee). Poi, durante il dominio inglese in Coppa Campioni, toccò ad un londinese espatriato ad Amburgo per divenire il calciatore con l’ingaggio più alto della storia fino ad allora. Kevin Keegan soffriva di manie di grandezza che lo portavano a decisioni sempre discutibili, ma ciò che discutibile non si poteva definire era il suo talento. Lasciata Liverpool da campione d’Europa, in Germania vinse due Palloni d’Oro e numerosi titoli col club. Nel 1980 e nel 1981 un altro bis, quello Karl Heinz Rummenigge. Affermatosi nel Bayern Monaco per le portentose doti atletiche e tecniche, portò la sua nazionale al secondo titolo europeo ed a due finali mondiali, entrambe perse. Unico vero fallimento di una carriera esemplare fu l’avventura italiana all’Inter. Il primo dei due Mondiali , il “Kaiser” lo perse per mano di “Pablito” Rossi, capocannoniere della manifestazione iridata del 1982, anno al termine del quale ricevette il meritato riconoscimento. Rossi giocava nella Juventus ed era la Juventus di Michel Platini. Un campione autentico, dalla classe sopraffina, il senso del gol nel sangue (primo per tre anni di fila nella classifica marcatori della SerieA), vinse il Pallone d’Oro nel 1983, ’84, ’85, record storico mai eguagliato, portando la “Signora” due volte in finale di Coppa dei Campioni (una vittoria, firmata da un suo rigore nella tragica notte dell’Haysel) e a due scudetti, oltre a regalare alla sua Francia l’Europeo 1984. Lasciò l’Italia due anni dopo, quando fu premiato Igor Belanov, centravanti della sorprendente Dinamo Kiev del colonnello Valery Lobanovsky, che vinse la Coppa delle Coppe. Non un fuoriclasse, che però sfruttò al massimo i successi di una scuola che faceva del gruppo la sua arma più tagliente, tanto che in seguito dichiarò:«Quel Pallone d’Oro avrebbero potuto darlo a Zavarov, a Yakovenko, a tanti altri protagonisti di quella Dinamo. Ma l’uomo che lo avrebbe meritato più di ogni altro era in panchina: Valery Lobanovsky fu l’unico vero artefice di quell’impresa». Da allora la sua carriera andò a picco, complice anche il decisivo rigore fallito agli Europei 1988 contro l’Olanda, un’Olanda che aveva la spina dorsale a tinte rossonere: Rijkard, Gullit e Van Basten. Il Milan degli “Invincibili” aveva nei tre tulipani i suoi uomini-gol. Nel 1987 toccò a Gullit, appena trasferitosi dal Psv Eindhoven. Poi ci si dovette arrendere allo strapotere del “Cigno di Utrecht”, il centravanti più completo della storia. 1,88 metri di classe pura, capace di reti ed assist straordinari, vinse il trofeo per due anni di fila dopo il compagno di reparto e concesse il tris nel 1992, prima di arrendersi alla sfortuna l’anno successivo. Chiuse la carriera con tre titoli olandesi, tre Coppe d’Olanda, una Coppa delle Coppe e quattro titoli di capocannoniere con la maglia dell’Ajax con cui collezionò 188 gol in quattro anni di prima divisione, tre scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e titoli vari in rossonero, il già citato Campionato Europeo 1988 con l’Olanda (fu capocannoniere e miglior giocatore del torneo). Nel 1995, dopo due anni di inattività, dirà stop. Tra il secondo ed il terzo successo di Van Basten, si piazzano Lothar Matthäus ( campione del Mondo 1990) e Jean Pierre Papin, premiato nel ’91 dopo il secondo posto a Bari contro la Stella Rossa di Belgrado allorchè giocava nell’Olympique Marsiglia. Il trasferimento a fine stagione al Milan ne segnerà il declino. E siamo al 1993: il Milan perdeva la neo nata Champios League a Monaco di Baviera e a portare gloria in Italia ci pensò Roberto Baggio. Trascinò la nazionale azzurra ai Mondiali 1994, persi proprio a causa di un suo errore durante la lotteria dei rigori, e la Juventus al successo in Coppa UEFA, mostrando l’arte infinita di un maestro che ancora oggi insegna calcio. Avrebbe confermato il primo successo se quel penalty a Pasadina non fosse finito alle stelle, invece il Pallone d’Oro andò a Hristo Stoichkov, capocannoniere del torneo con la Bulgaria e finalista di Champions col Barcellona, umiliato dal Milan ad Atene. Il 1995 segnò una svolta storica: il trofeo fu aperto anche agli extracomunitari militanti in club europei. Da Maradona a Romario, in troppi avrebbero meritato un riconoscimento che quell’anno andò a George Weah, centravanti liberiano che aveva regalato al Paris Saint Germain la Coppa di Francia, prima di trasferirsi al Milan con cui a fine stagione si sarebbe laureato campione d’Italia. Il fatto che le vittorie con club e nazionali influiscano pesantemente trovò conferma nel 1996, quando fu premiato Matthias Sammer. Un premio mai assegnato a Franco Baresi che finisce tra le mani di un libero assai inferiore all’allora capitano del Milan, che nell’Inter non aveva lasciato traccia e si era rifatto in patria col Borussia Dortmund e la nazionale tedesca campione d’Europa di cui era capitano. Premiato tra mille polemiche smetterà qualche anno dopo a causa di un gravissimo infortunio ad un ginocchio. Un paradosso compiutosi nell’anno in cui il calcio subì uno scossone di enorme portata: la sentenza Bosman, che sancì il trasferimento dei calciatori nei paesi dell’UE quali liberi lavoratori professionisti. Ma in quel periodo si faceva avanti un fuoriclasse straordinario. Il 1997 sarà ricordato come “l’anno del Fenomeno”. Luiz Nazario da Lima Ronaldo realizzò 34 reti in 37 gare nella Liga spagnola, portando il suo Barça alla vittoria in Supercoppa di Spagna, Coppa del Re e Coppa delle Coppe, secondo nella Liga solo al Real Madrid che studiava di “Galactico”. Si trasferì all’Inter di Massimo Moratti per la storica cifra di 48 miliardi di lire ed alzò il Ballon d’Or, primo sud-americano a farlo. A fine stagione vinse la Coppa UEFA da capocannoniere (25 reti in campionato), ultimo trofeo conquistato dai nerazzurri ad oggi. Come per Baggio, fatale gli fu l’anno dopo la finale dei Mondiali. Sconfitto dalla Francia padrona di casa, capace di superare 3-0 i campioni in carica con due reti di Zinedine Zidane, fantasista della Juventus dominatrice in patria ma seconda in Europa. Di Zidane impressiona sempre la facilità con cui compie i gesti tecnici più difficili. La vittoria del Real Madrid nella finale dell’ArenA di Amsterdam contro i bianconeri segnò un passaggio di consegne: il calcio migliore si gioca in Spagna. La campagna giornalistica di Jorge Valdano a favore del calcio-spettacolo portò nella Liga tanti stranieri di gran classe come Vitor Barbosa Ferreira Rivaldo e Luis Figo. Il primo alzò il premio di “France Football” nel 1999 allorchè indossava la maglia del Barcellona con cui aveva vinto il titolo nazionale, prima di dare al suo Brazil la Coppa America a suon di gol e giocate spettacolari. Il secondo tradì la causa blau-grana e passò agli storici rivali merengues per la stratosferica cifra di 70 milioni di Euro (solo Zidane sarà pagato di più l’anno dopo dallo stesso club madrileno). Gli ultimi due Palloni d’Oro sono arrivati tra le polemiche. Nel 2001 il Livepool vinse quasi tutto: Coppa di Lega, Coppa d’Inghilterra, Coppa UEFA, Supercoppa d’Inghilterra e Supercoppa Europea. Il settimanale transalpino premierà il “Red” più rappresentativo, Michael Owen, un gran calciatore, ma non il migliore di tutti. Seguendo lo stesso ragionamento si potrebbe dare il premio 2002 a Roberto Carlos, vincitore di Coppa dei Campioni, Supercoppa Europea, Coppa Intercontionentale e Coppa del Mondo. Inoltre il terzino dal sinistro infuocato del Real Madrid aveva giocato tutto l’anno solare a livelli di rendimento altissimi, ma il premio andrà ancora a Ronaldo, capocannoniere della rassegna di Corea del Sud & Giappone, passato durante l’estate dall’Inter ai “Galacticos”. Roberto Carlos pagò i pregiudizi dei giurati verso i difensori, venendo privato del coronamento di una carriera stupenda e ancora lontana dalla conclusione. Lo stesso Ronaldo ammise all’atto della consegna la superiorità dell’amico.





















































