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Fabio Giallombardo racconta La Bicicletta Volante

Redazione Controcampus 6 Giugno 2014
R. C.
23/04/2024

Fabio Giallombardo, autore del libro "La bicicletta volante" si racconta in un'esclusiva intervista Non solo una storia.

Non solo un romanzo.

La bicicletta volante di Fabio Giallombardo è molto di più: un susseguirsi di vive emozioni che, attraverso le vite dei protagonisti, giungono direttamente sulla pelle del lettore.

In ogni pagina di Fabio Giallombardo la fotografia in bianco e nero di una Palermo che non perdona. In ogni capoverso, l’incipit per un nuovo colpo di scena. In ciascun capitolo, un racconto incalzante e avvincente dove scene d’amore, di dolore, di conflitto, e soprattutto di speranze, si alternano in una trama appassionante e senza tempo.

Un romanzo quello di Fabio Giallombardo che scatta nitida un’istantanea del “sistema”, che a Palermo da sempre si è fatto storia. Il racconto di una famiglia che in quel contesto annega, ma che anela rivalsa e assoluzione attraverso Gaspare, il protagonista della storia, figlio “adottivo e ignaro”, sia di nome che di fatto, di quel mondo che non perdona, chiamato Mafia.

In “La bicicletta volante” di Fabio Giallombardo un continuo gioco di contrapposizioni: la ricchezza e la povertà, la Palermo da cui scappare e una Milano che accoglie silenziosa, la paura di ogni istante e il coraggio di riconquistare il proprio Tempo, la vita che passa e soprattutto la morte che arriva e, che egoisticamente, uccide.
Un romanzo tutto da leggere, raccontato, a parere di chi scrive, con grande maestria da Fabio Giallombardo attraverso uno stile unico: elegante e mai banale, ricercato, ma al tempo stesso pregno di incursioni dialettali.

Fabio Giallombardo, autore de “La bicicletta volante”, racconta a Controcampus i retroscena della sua storia e i segreti di un romanzo che già mostra tutti i “sintomi” del caso letterario italiano.

La Bicicletta Volante di Fabio Giallombardo

Come nasce l’idea de “La bicicletta volante”? L’idea nasce dalla trasfigurazione letteraria di un’esperienza vissuta: quando avevo sedici anni mia madre, che frequentava il Coordinamento antimafia e che bazzicava coi quei parroci di frontiera che avevano scelto di vivere nei quartieri a rischio di Palermo, mi chiese di dare una mano per una settimana ai volontari di Sant’Ippolito, in pieno quartiere Capo, perché tre ragazze avevano dato forfait all’ultimo momento. Ci andai svogliatamente, ero un ragazzino timido e un po’ scontroso, ma fui subito conquistato da quel mondo, dal brulicare di quell’umanità primitiva, dalla vitalità di ragazzini che non avevano avuto niente dalla vita eppure la amavano molto più di me. Da allora non li lasciai più e la mia attività di volontario al Capo durò tredici anni: vidi crescere quei bambini, li vidi diventare uomini. Costituii un gruppo di volontari che era ideologicamente composito (c’erano ragazzi di sinistra, di destra, atei, agnostici, cattolici…) e lavorammo in molti altri quartieri (Borgo Vecchio, Kalsa, Ballarò), ma solo al Capo continuativamente dal 1989 al 2002, nonostante nel frattempo il parroco fosse cambiato e quello nuovo (che nel romanzo ho ribattezzato col nome fittizio di Don Bartolomeo) ritenesse curiosamente che l’attività di parrocchia consistesse solo nell’espletare funzioni di tipo pastorale e non dovesse avere ingiustificate implicazioni sociali: imparammo a fare anche a meno dell’appoggio della parrocchia. Con lo stesso gruppo andammo anche in “trasferta” a fare colonie estive a Napoli, Catania, Vittoria e Reggio Calabria, appoggiandoci alle strutture delle suore di Madre Teresa di Calcutta, le uniche che non ci fecero mai mancare il loro aiuto. L’attività consisteva nel togliere i ragazzi dalla strada attraverso il gioco, esplorando tramite attività ludiche le loro risorse simboliche; poi, una volta ottenuta la loro fiducia, cercavamo di provvedere ad un’alfabetizzazione di base, di cui la scuola pubblica in quei quartieri non riusciva prendersi minimamente carico. Nel romanzo tutti gli episodi della prima sezione, sono tratti da storie vere, non c’è nulla di inventato; naturalmente, trattandosi di vicende delicatissime e a tratti scabrose, i nomi e le date sono stati cambiati, quando non addirittura stravolti.

Un lettura emozionante che racconta senza mezzi termini, anche se in forma romanzata, del “sistema” negli anni ‘90, delle criticità della nostra bella Sicilia e dei problemi che da sempre affliggono Palermo. Se Fabio Giallombardo dovesse scrivere il prosieguo della storia e contestualizzarla ad oggi, cosa cambierebbe? I bambini di strada che conobbi nei primi anni 90 sono molto più simili ai personaggi dei romanzi di Pasolini che ai ragazzi di oggi: anche i poveri, i cosiddetti “disagiati” di oggi, vivono in un perenne stato di minorità, vogliono conformarsi alle mode che intravedono sui media e su facebook vivono di insicurezze ed ansie da prestazione: vorrebbero insomma in cuor loro essere borghesi, ma non ne hanno la possibilità; e ormai non sono troppo diversi tra loro, che vivano a Siracusa o a Bolzano. I ragazzi i strada della Palermo di allora invece erano fieri del loro stato ferino, avevano una fame d’appartenenza che la mafia spesso usava per farne la manovalanza, ma se riuscivi ad entrare in rapporto di fiducia con loro scoprivi che erano affettivamente prorompenti, avevano una purezza spirituale che strideva con gli ambienti degradati in cui vivevano; e non erano minimamente interessati ai vestiti firmati e a tutti gli altri gadget che fungevano e fungono da ideologemi della borghesia. La seconda parte del romanzo forse descrive molto meglio l’indistinta palude della società odierna, che a Palermo come a Milano, si è trasformata in una grande melassa che non ha risolto i vecchi problemi della corruzione e della connivenza, ma ha dato un colpo di vernice mediatica spersonalizzante a tutta l’odierna società.

La storia di una città, il racconto di una famiglia, un romanzo che è un inno all’amore, alla passione, all’amicizia. Cos’altro ancora per l’autore de “La bicicletta volante”? Tutte queste cose insieme ed in più uno scavo interiore, che ho cercato di fare dentro me stesso, sul concetto di famiglia, nel senso esistenziale ed antropologico del termine: nel romanzo si contrappongono due famiglie, una ricca e colta, l’altra rozza ed ignorante. Ma i due prototipi a dispetto delle apparenze, si assomigliano tantissimo perché entrambe le famiglie impongono ai propri componenti di non avere una morale individuale, ma di aderire acriticamente a quella del gruppo: è ciò che l’antropologo Banfield chiama “familismo amorale” e porta gli individui a non rendersi conto che stanno subendo soprusi insostenibili, siano gli incesti e gli stupri nel quartiere degradato o il riciclaggio di denaro sporco dei colletti bianchi, poco cambia: è la morale familista che rende cieco l’individuo; ecco io credo che in Italia il vero grande nodo antropologico sia questo: salvare l’idea di famiglia, che a tutti gli effetti ci conforta e ci identifica, senza che gli individui che ne fanno parte siano costretti a rinunciare al senso critico, la loro facoltà di dissociarsi da tutte le famiglie e da tutte le cupole che hanno rovinato il nostro paese. E questo per me, come si capisce bene leggendo il libro, non può che passare per la costruzione di una famiglia elettiva, che non rinneghi necessariamente, ma che integri e sorvegli quella di sangue.

Quando hai iniziato a scrivere il romanzo avevi già in mente come tessere la trama e il finale o è stato tutto un fluire pagina dopo pagina? Quando ho iniziato a scrivere non pensavo minimamente alla pubblicazione! Ho iniziato a buttare giù il diario di Gaspare, come una specie di sfogo personale; poi ho provato a regredire, come direbbe Verga, ad uno stato di semi alfabetismo per scrivere il diario di Rosalia: ero da poco andato via dalla Sicilia (vivo a San Benedetto del Tronto, nelle Marche) e quello era un modo per lenire la nostalgia, per recuperare alcuni pezzi di vita dal pozzo della memoria. Solo un paio di anni dopo ho cominciato ad intessere una trama complessiva, ad immaginare anche la sezione milanese del romanzo e a ricavarne una prima stesura. Un paio di anni fa il prezioso consiglio di due intellettuali, il palermitano Roberto Alajmo e il milanese Cristiano Abbadessa, mi hanno aiutato a rendere il romanzo più fruibile per il pubblico, nella versione che adesso si può comprare il libreria.

Perché l’epigrafe dedicata a Sciascia? C’è un motivo particolare? Leonardo Sciascia, insieme a Gesualdo Bufalino, sono gli autori che più ho amato: da ragazzino li vedevo bazzicare per la mia città, per la mia isola, quindi rappresentano la mia paternità letteraria elettiva. Nello specifico una citazione così pessimista e algida, insieme al finale del romanzo che una lettrice han definito “un pugno nello stomaco” servono a dire a chiare lettere che di pagliacci, ballerine, nani in Italia ne abbiamo abbastanza: non è rassicurando il pubblico con lieto fine in stile rai fiction che si risolvono i problemi. I problemi si affrontano guardando la realtà dritta negli occhi: e se, parafrasando l’allegorismo sbiasciano, il gallo che avrebbe dovuto svegliarci, è stato assassinato dalla faina, non dobbiamo girarci dall’altra parte e dormire!

Se avessi “quella” moleskine, oggetto chiave del romanzo e che conduce il lettore verso la scoperta della storia, e potessi riempire quelle pagine vuote, cosa scriveresti col senno di poi? Lo lascerei vuoto, esattamente com’è nel romanzo: credo molto nel potere ermeneutico della letteratura e spero, cosa di cui ho già avuto conferma da parte di molti lettori, che ciascuno lo riempia con la propria coscienza civica e con la propria fantasia rigenerante: mi piacerebbe che ciascun lettore, concluso l’avventura della lettura del mio libro, dicesse: ed ora? Come posso continuare a tracciare il destino di questi personaggi nella mia vita?

Molti hanno scoperto Fabio Giallombardo con “La bicicletta volante”. Il romanzo, però, non è di esordio. Cosa è possibile leggere dell’autore? Per me è come se fosse un vero e proprio esordio, perché per la prima volta riesco trovare un equilibrio fra urgenza interiore e efficacia comunicativa. La cosa in passato mi era successa solo con brevi racconti, che sono tuttora in commercio: “Uomo cane” che raccoglie alcune suggestioni sul mistero della scomparsa di Majorana (AVV Un sogno dentro un sogno, Edizioni I sognatori 2008) e “La gazzella”, che racconta il dramma esistenziale e calcistica del meno noto fra i due dei cugini Schillaci, recentemente apparsa nella racconta “Racconti mondiali”, Autodafé edizioni, 2014. In entrambe le novelle, come nel romanzo, la Sicilia si fa metafora dell’esistenza, del senso del destino, della bellezza e delle miserie del nostro paese. Perché, come dice Bufalino, la Sicilia non è un’isola, ma un continente.

“La bicicletta volante” sta ottenendo buoni risultati in termini di critiche e vendite. Lecito chiederti: a quando il prossimo? C’è già qualcosa che bolle in pentola? Guarda è una domanda che mi hanno rivolto in molti recentemente e mi fa tantissimo piacere, perché vuol dire che il romanzo ha colpito nel segno, ha creato sete e fame di letteratura, nonostante l’assenza del lieto fine. Tuttavia le decine di lettere che mi arrivano quotidianamente da parte di lettori che lo hanno letto ed amato mi rende incapace per ora di pensare anche lontanamente di scriverne un altro: Montale diceva che lo scrittore deve rincantucciarsi in un anfratto di solitudine per potere creare qualcosa che abbia un valore e poi avere il coraggio di sottoporlo al giudizio del mondo. Ecco, io per ora sono meravigliosamente tartassato da questo feedback ed intendo godermelo tutto. Sicuramente più avanti tornerò nel cantuccio segreto della solitudine.

Dove è possibile incontrare l’autore per firma copia e/o presentazione de “La bicicletta volante”? In questi giorni sono a Milano, dove il libro verrà presentato ben due volte in seno al Festival della Letteratura (venerdì 6 giugno ore 21.00, presso Biblioteca Chiesa Rossa, via San Domenico Savio 3 e poi sabato 7 giugno ore 15.30, presso Alzaia di Naviglio Pavese, 16)
Poi a luglio presenterò il romanzo in Sicilia, il 19 a Bagheria (presso libreria “Interno 95, ore 18), e il 23 a Palermo (presso libreria “Broadway” in via Rosolino Pilo, ore 18).
Per tutti quelli che non possono essere fisicamente presenti alle presentazioni c’è la possibilità di mettersi in contatto con me tramite facebook, come già hanno fatto in centinaia: la pagina dedicata al romanzo, che io visiono ogni due tre giorni, è questa fan page. Mi fa piacere ricevere le impressioni di tutti e a tutti cerco di rispondere in breve tempo perché, come dicevo prima, la sensazione più bella per uno scrittore è ammirare l’anima della propria creatura di carta che prende vita nella vita degli altri.

La Bicicletta Volante di Fabio Giallombardo: trama

Trama de “La bicicletta volante”. La Palermo dei primi anni novanta, dove, accanto alla decadente magnificenza delle ville gattopardesche brulica l’infima miseria dei ghetti, tra il degrado e l’oppressione, la prostituzione e l’incesto. Poi l’approdo alla terra promessa della ricca Milano del nuovo millennio, che diventa speranza di rinascita, fede nel riscatto, ma anche il luogo dove i fantasmi del passato riaffiorano intatti, ancora più subdoli e minacciosi.

La lettera d’amore di Gaspare Traina al proprio figlio Salvatore apre un baratro sulla storia italiana degli ultimi venti anni, sugli intrecci tra mafia e politica, sul rapporto fra il riciclaggio del denaro e gli affari nella sanità. Una lettera che diventa il racconto di una saga familiare intrisa di passione e paura, di disperazione e gioia di vivere, dove la primitiva semplicità del gioco del calcio si fa metafora di un’utopia possibile, di uno slancio vitale attraverso cui tentare di sfuggire a un sistema tentacolare.
Un romanzo dalla narrazione avvincente, in cui, nella trama come nello stile, l’alto e il basso si mescolano fino a confondersi, non più distinguibili e fra loro complementari. Come nella vita.

La Bicicletta Volante di Fabio Giallombardo: scheda tecnica

  • Titolo: La bicicletta volante
  • Autore:Fabio Giallombardo
  • Anno: marzo 2014, pp. 180, € 15,00
  • isbn 978-88-97044-40-6
  • Casa editrice: Autodafé edizioni

Pasqualina Scalea

© Riproduzione Riservata
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Redazione Controcampus Controcampus è Il magazine più letto dai giovani su: Scuola, Università, Ricerca, Formazione, Lavoro. Controcampus nasce nell’ottobre 2001 con la missione di affiancare con la notizia e l’informazione, il mondo dell’istruzione e dell’università. Il suo cuore pulsante sono i giovani, menti libere e non compromesse da nessun interesse di parte. Il progetto è ambizioso e Controcampus cresce e si evolve arricchendo il proprio staff con nuovi giovani vogliosi di essere protagonisti in un’avventura editoriale. Aumentano e si perfezionano le competenze e le professionalità di ognuno. Questo porta Controcampus, ad essere una delle voci più autorevoli nel mondo accademico. 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Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei nostri lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. La Storia Controcampus è un periodico d’informazione universitaria, tra i primi per diffusione. Ha la sua sede principale a Salerno e molte altri sedi presso i principali atenei italiani. Una rivista con la denominazione Controcampus, fondata dal ventitreenne Mario Di Stasi nel 2001, fu pubblicata per la prima volta nel Ottobre 2001 con un numero 0. Il giornale nei primi anni di attività non riuscì a mantenere una costanza di pubblicazione. Nel 2002, raggiunta una minima possibilità economica, venne registrato al Tribunale di Salerno. Nel Settembre del 2004 ne seguì la registrazione ed integrazione della testata www.controcampus.it. Dalle origini al 2004 Controcampus nacque nel Settembre del 2001 quando Mario Di Stasi, allora studente della facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Salerno, decise di fondare una rivista che offrisse la possibilità a tutti coloro che vivevano il campus campano di poter raccontare la loro vita universitaria, e ad altrettanta popolazione universitaria di conoscere notizie che li riguardassero. Il primo numero venne diffuso all’interno della sola Università di Salerno, nei corridoi, nelle aule e nei dipartimenti. Per il lancio vennero scelti i tre giorni nei quali si tenevano le elezioni universitarie per il rinnovo degli organi di rappresentanza studentesca. In quei giorni il fermento e la partecipazione alla vita universitaria era enorme, e l’idea fu proprio quella di arrivare ad un numero elevatissimo di persone. Controcampus riuscì a terminare le copie date in stampa nel giro di pochissime ore. Era un mensile. La foliazione era di 6 pagine, in due colori, stampate in 5.000 copie e ristampa di altre 5.000 copie (primo numero). Come sede del giornale fu scelto un luogo strategico, un posto che potesse essere d’aiuto a cercare fonti quanto più attendibili e giovani interessati alla scrittura ed all’ informazione universitaria. La prima redazione aveva sede presso il corridoio della facoltà di giurisprudenza, in un locale adibito in precedenza a magazzino ed allora in disuso. La redazione era quindi raccolta in un unico ambiente ed era composta da un gruppo di ragazzi, di studenti (oltre al direttore) interessati all’idea di avere uno spazio e la possibilità di informare ed essere informati. Le principali figure erano, oltre a Mario Di Stasi: Giovanni Acconciagioco, studente della facoltà di scienze della comunicazione Mario Ferrazzano, studente della facoltà di Lettere e Filosofia Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna nei pressi della stessa università di Salerno. Nei giorni successivi alla prima distribuzione, molte furono le persone che si avvicinarono al nuovo progetto universitario, chi per cercarne una copia, chi per poter partecipare attivamente. Stava per nascere un nuovo fenomeno mai conosciuto prima, Controcampus, “il periodico d’informazione universitaria”. “L’università gratis, quello che si può dire e quello che altrimenti non si sarebbe detto”, erano questi i primi slogan con cui si presentava il periodico, quasi a farne intendere e precisare la sua intenzione di università libera e senza privilegi, informazione a 360° senza censure. Il giornale, nei primi numeri, era composto da una copertina che raccoglieva le immagini (foto) più rappresentative del mese, un sommario e, a seguire, Campus Voci, la pagina del direttore. La quarta pagina ospitava l’intervista al corpo docente e o amministrativo (il primo numero aveva l’intervista al rettore uscente G. Donsi e al rettore in carica R. Pasquino). Nelle pagine successive era possibile leggere la cronaca universitaria. A seguire uno spazio dedicato all’arte (poesia e fumettistica). I caratteri erano stampati in corpo 10. Nel Marzo del 2002 avvenne un primo essenziale cambiamento: venne creato un vero e proprio staff di lavoro, il direttore si affianca a nuove figure: un caporedattore (Donatella Masiello) una segreteria di redazione (Enrico Stolfi), redattori fissi (Antonella Pacella, Mario Bove). Il periodico cambia l’impaginato e acquista il suo colore editoriale che lo accompagnerà per tutto il percorso: il blu. Viene creata una nuova testata che vede la dicitura Controcampus per esteso e per riflesso (specchiato), a voler significare che l’informazione che appare è quella che si riflette, quello che, se non fatto sapere da Controcampus, mai si sarebbe saputo (effetto specchiato della testata). La rivista viene stampa in una tipografia diversa dalla precedente, la redazione non aveva una tipografia propria, ma veniva impaginata (un nuovo e più accattivante impaginato) da grafici interni alla redazione. Aumentarono le pagine (24 pagine poi 28 poi 32) e alcune di queste per la prima volta vengono dedicate alla pubblicità. Viene aperta una nuova sede, questa volta di due stanze. Nel Maggio 2002 la tiratura cominciò a salire, fu l’anno in cui Mario Di Stasi ed il suo staff decisero di portare il giornale in edicola ad un prezzo simbolico di € 0,50. Il periodico era cosi diventato la voce ufficiale del campus salernitano, i temi erano sempre più scottanti e di attualità. Numero dopo numero l’obbiettivo era diventato non più e soltanto quello di informare della cronaca universitaria, ma anche quello di rompere tabù. Nel puntuale editoriale del direttore si poteva ascoltare la denuncia, la critica, la voce di migliaia di giovani, in un periodo storico che cominciava a portare allo scoperto i risultati di una cattiva gestione politica e amministrativa del Paese e mostrava i primi segni di una poi calzante crisi economica, sociale ed ideologica, dove i giovani venivano sempre più messi da parte. Disabilità, corruzione, baronato, droga, sessualità: sono questi alcuni dei temi che il periodico affronta. Nel 2003 il comune di Salerno viene colto da un improvviso “terremoto” politico a causa della questione sul registro delle unioni civili, “terremoto” che addirittura provoca le dimissioni dell’assessore Piero Cardalesi, favorevole ad una battaglia di civiltà (cit. corriere). Nello stesso periodo Controcampus manda in stampa, all’insaputa dell’accaduto, un numero con all’interno un’ inchiesta sulla omosessualità intitolata “dirselo senza paura” che vede in copertina due ragazze lesbiche. Il fatto giunge subito all’attenzione del caporedattore G. Boyano del corriere del mezzogiorno. È cosi che Controcampus entra nell’attenzione dei media, prima locali e poi nazionali. Nel 2003 Mario Di Stasi avverte nell’aria segnali di cambiamento sia della società che rispetto al periodico Controcampus. Pensa allora di investire ulteriormente sul progetto, in redazione erano presenti nuove figure: Ernesto Natella, Laura Muro, Emilio C. Bertelli, Antonio Palmieri. Il periodico aumenta le pagine, (44 pagine e poi 60 pagine), è stampato interamente a colori, la testata è disegnata più piccola e posizionata al lato sinistro della prima pagina. La redazione si trasferisce in una nuova sede, presso la palazzina E.di.su del campus di Salerno, questa volta per concessione dell’allora presidente dell’E.di.su, la Professoressa Caterina Miraglia che crede in Controcampus. Nello stesso anno Controcampus per la prima volta entra nel mondo del Web e a farne da padrino è Antonio Palmieri, allora studente della facoltà di Economia, giovane brillante negli studi e nelle sue capacità web. Crea un portale su piattaforma CMS realizzato in asp. È la nascita di www.controcampus.it e l’inizio di un percorso più grande. Controcampus è conosciuto in tutti gli atenei italiani, grazie al rapporto e collaborazione che si instaura con gli uffici stampa di ogni ateneo, grazie alla distribuzione del cartaceo ed alla nuova iniziativa manageriale di aprire sedi - redazioni in tutta Italia. Nel 2004 Mario Di Stasi, Antonio Palmieri, Emilio C. Bertelli e altri redattori del periodico controcampus vengono eletti rappresentanti di facoltà. Questo non permette di sporcare l’indirizzo e linea editoriale di Controcampus, che resta libera da condizionamenti di partito, ma offre la possibilità di poter accedere a finanziamenti provenienti dalla stessa Università degli Studi di Salerno che, insieme alla pubblicità, permettono di aumentare gli investimenti del gruppo editoriale. Ciò nonostante Controcampus rispetto alla concorrenza doveva contare solamente sulle proprie forze. La forza del giornale stava nella fiducia che i lettori avevano ormai riposto nel periodico. I redattori di Controcampus diventarono 15, le redazioni nelle varie università italiane aumentavano. Tutto questo faceva si che il periodico si consolidasse, diventando punto di riferimento informativo non soltanto più dei soli studenti ma anche di docenti, personale e politici, interessati a conoscere l’informazione universitaria. Gli stessi organi dell’istruzione quali Miur e Crui intrecciavano rapporti di collaborazione con il periodico. Dal 2005 al 2009 A partire dal 2005 Controcampus e www.controcampus.it ospitano delle rubriche fisse. Le principali sono: Università, la rubrica dedicata alle notizie istituzionali Uni Nord, Uni Centro e Uni Sud, rubriche dedicate alla cronaca universitaria Cominciano inoltre a prender piede informazioni di taglio più leggero come il gossip che anche nel contesto universitario interessa. La redazione di Controcampus intuisce che il gossip può permettergli di aumentare il numero di lettori e fedeli e nasce cosi da controcampus anche una iniziativa che sarà poi riproposta ogni anno, Elogio alla Bellezza, un concorso di bellezza che vede protagonisti studenti, docenti e personale amministrativo. Dal 2006 al 2009 la rivista si consolida ma la difficoltà di mantenete una tiratura nazionale si fa sentire anche per forza della crisi economia che investe il settore della carta stampata. Dal 2009 ad oggi Nel maggio del 2009 Mario Di Stasi, nel tentativo di voler superare qualsiasi rischio di chiusura del periodico e colto dall’interesse sempre maggiore dell’informazione sul web (web 2.0 ecc), decide di portare l’intero periodico sul web, abbandonando la produzione in stampa. Nasce un nuovo portale: www.controcampus.it su piattaforma francese Spip. Questo se da un lato presenta la forza di poter interessare e raggiungere un vastissimo pubblico (le indicizzazioni lo dimostrano), dall’altro lato presenta subito delle debolezze dovute alla cattiva programmazione dello stesso portale. Nel 2012 www.controcampus.it si rinnova totalmente, Mario Di Stasi porta con se un nuovo staff: Pasqualina Scalea (Caporedattore), Dora Della Sala (Vice Caporedattore), Antonietta Amato (segreteria di Redazione) Antonio Palmieri (Responsabile dell’area Web) Lucia Picardo (Area Marketing), Rosario Santitoro ( Area Commerciale). Ci sono nuovi responsabili di area, ciascuno dei quali è a capo di una redazione nelle diverse sedi dei principali Atenei Italiani: sono nuovi giovani vogliosi di essere protagonisti in un’avventura editoriale. Aumentano e si perfezionano le competenze e le professionalità di ognuno. Questo porta Controcampus ad essere una delle voci più autorevoli nel mondo accademico. Nel 2013 www.controcampus.it si aplia, il portale d'informazione universitario, diventa un network. Una nuova edizione, non più un periodico ma un quotidiano anzi un notiziario in tempo reale. Nasce il Magazine Controcampus, nascono nuovi contenuti: scuola, università, ricerca, formazione e lavoro. Nascono ulteriori piattaforme collegate alla webzine, non solo informazione ma servizi come bacheche, appunti, ricerca lavoro e anche nuovi servizi sociali. Certo le difficoltà sono state sempre in agguato ma hanno generato all’interno della redazione la consapevolezza che esse non sono altro che delle opportunità da cogliere al volo per radicare il progetto Controcampus nel mondo dell’istruzione globale, non più solo università. Controcampus diventa sempre più grande restando come sempre gratuito. Un nuovo portale, un nuovo spazio per chiunque e a prescindere dalla propria apparenza e provenienza. Sempre più verso una gestione imprenditoriale e professionale del progetto editoriale, alla ricerca di un business libero ed indipendente che possa diventare un’opportunità di lavoro per quei giovani che oggi contribuiscono e partecipano all’attività del primo portale di informazione universitaria. Sempre più verso il soddisfacimento dei bisogni dei lettori che contribuiscono con i loro feedback a rendere Controcampus un progetto sempre più attento alle esigenze di chi ogni giorno e per vari motivi vive il mondo universitario. Leggi tutto