Le ricerche e i dati pregressi al sondaggio, di cui l’Isfol ha tenuto conto nella conduzione dello stesso sono:
-* Indagine condotta prima dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) e dal 2006 in poi dall’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (AS), ex-Indire, sulle esperienze legate alla terza area professionalizzante (ossia: esperienze formative realizzate dagli Istituti Professionali di Stato tramite determinati accordi con la Regione di appartenenza, finalizzate all’ottenimento di una qualifica regionale equipollente al diploma erogato dall’Istituto in base al Decreto Ministeriale del 15 aprile del 1994 ) e su quelle di alternanza scuola lavoro, avviate dopo la Riforma dell’Istruzione del 2003 (Art. 4, L. 53/03) e rese attuative con il DL 77/05, tramite cui è possibile risalire al numero di stage promossi ogni anno dalle scuole secondarie superiori
-* Indagine annuale Excelsior realizzata dall’Unioncamere, sui fabbisogni di manodopera delle imprese italiane
-* Indagine, pubblicata nei dei mesi scorsi col titolo Profilo dei laureati italiani e promossa dal Consorzio Interuniversitario Almalaurea
-* Il monitoraggio ad opera dell’ Isfol sui Centri per l’impiego (CPI) e sui Centri di Formazione Professionale gestiti direttamente dalle Regioni
-* L’indagine ISFOL PLUS (Participation, Labour, Unemployment, Survey) da cui è stato possibile desumere alcune caratteristiche di tipo qualitativo degli stagisti italiani
Un dato di più difficile reperibilità è infine quello sui tirocini effettuati nell’ambito dei numerosissimi master promossi ogni anno in Italia non solo dalle Università pubbliche e private, ma da innumerevoli Centri di formazione di varia appartenenza, nella maggior parte privati e diversamente organizzati. Situazione analoga per i dati relativi al numero dei tirocini, sempre più frequenti in questi ultimi anni, anche a causa del blocco dei concorsi, effettuati all’interno della Pubblica Amministrazione.
CHI – Gli stagisti sono per il 69% donne, di età prevalente compresa tra i 25 e i 30 anni (68%) e che per il 45% possiedono una laurea specialistica. A seguire vi è la fascia di età compresa tra i 19 e i 24 anni (16%) e quella di età compresa tra i 31 e i 39 anni (13%). L’area con maggior presenza è il Nord Ovest con il 33%, seguita dal Sud e Isole con il 27% .
A ciò si associano motivazioni differenti in ordine a come viene percepita e vissuta l’esperienza dello stage: dal completamento della propria formazione, all’ orientamento al mondo professionale di sbocco (per gli stagisti del nord-ovest), fino alla volontà di captare comunque qualsiasi occasione di avvicinamento al mondo del lavoro (stagisti meridionali). Il dato secondo cui quasi la metà (45%) degli stagisti è in possesso di una laurea specialistica è sostanzialmente omogeneo per qualunque provenienza e rappresentativo della situazione italiana, mentre il dato relativo al possesso di master si concentra particolarmente per gli stagisti del sud (19%), che dall’indagine risultano essere il doppio degli stagisti del nord (9%) e superiori alla media nazionale (14%).
In tal modo è possibile ipotizzare che si preferisca perseguire un titolo di Alta Formazione post-laurea in conseguenza delle caratteristiche del mercato del lavoro di riferimento, considerando quest’ultimo dal punto vista territoriale e non solo strettamente professionale. A preoccupare chi si iscrive ad un master (si presuppone con più alta probabilità di secondo livello, data la fascia di età e il dato circa il possesso della laurea specialistica) dunque non sarebbe tanto la difficoltà di inserimento propria del settore professionale per cui si è candidati ma le differenti difficoltà di inserimento lavorativo che contraddistinguono, ad esempio, il Sud dal Nord Ovest d’Italia.
Riguardo allo status attuale degli stagisti del campione considerato il 65,8% degli intervistati dichiara di essere occupato o in cerca di lavoro, il 26,9% dichiara di essere studente (nella maggior parte dei casi si tratta di studenti universitari), mentre il restante 7,3% dichiara di non appartenere a nessuna delle categorie citate (e si tratterà probabilmente, ad esempio, di casi di ex-lavoratori in prospettiva di re-inserimento). La composizione degli ‘occupati’ è a maggioranza maschile (34,3% contro 23,2%), mentre la composizione di chi è in cerca di lavoro è prevalentemente femminile (39,8% contro 33,5%), a riflesso di due tendenze generali che sono quella delle aziende di preferire assunzioni maschili e quella della preferenza femminile a proseguire gli studi.
il 37% dei laureati in possesso di una laurea specialistica dicono di essere già occupati, tra quelli con la laurea triennale il 17 % dichiara di lavorare mentre i diplomati che risultano occupati ammontano al 13%. Generalmente le aziende al momento delle assunzioni molto probabilmente sceglieranno giovani in possesso di un titolo di studio più elevato, quindi una laurea del vecchio ordinamento o una laurea specialistica, ancor meglio un dottorato.
Nel caso degli stagisti in possesso di laurea triennale, la maggior parte degli intervistati ha dichiarato di essere ,al momento dell’intervista, studenti universitari (52%), quasi un quarto di essere in cerca di lavoro (24%) e per il 17% di essere occupati. Lo stage, quindi, per i triennalisti e le triennaliste ha perlopiù valenza curricolare e si finalizza all’acquisizione di crediti formativi universitari oltre che al miglioramento dell’appetibilità del proprio curriculum.
PERCHÈ – Le aspettative riposte in uno stage si snodano soprattutto in base al periodo formativo in cui lo si effettui; in senso ascendente, la classifica delle motivazioni indicate riferisce che si intraprende uno stage per mettere a punto il proprio progetto professionale (9%), per ottenere dei crediti formativi (13%), per orientarsi nel mondo delle professioni (19%), per completare la propria formazione (24%) e, in prima posizione, per trovare lavoro (33%).
Tuttavia l’aggiunta di competenze ed esperienza “on the job” nel CV come motivazione posta a base di uno di stage non cede facilmente il passo ad altre motivazioni più inerenti al concreto raggiungimento di una posizione lavorativa in conseguenza delle difficoltà certificate e testimoniate di passare da un contratto di stage ad un contratto di lavoro di qualsiasi tipo. Infatti, se un terzo del campione ha dichiarato di aver intrapreso uno stage per trovare lavoro, a conclusione dei mesi di stage, nel 53% dei casi l’esperienza non ha dato seguito ad un’assunzione contrattualizzata. Nel 17% dei casi è stato proposto dalle aziende una proroga dello stage stesso, nel 13% dei casi allo stage ha fatto seguito un contratto atipico (nel 7% collaborazione occasionale e nel 6% collaborazione a progetto), nel 6% dei casi ha fatto seguito un contratto a tempo determinato e nel 2% un contratto a tempo indeterminato.
DOVE – il 37% degli stage sono stati effettuati all’interno di imprese di piccole dimensioni (con meno di 50 dipendenti). Rilevante è il dato che riguarda le la quota di stagisti inseriti in grandi aziende con oltre 250 dipendenti (22%), ancor più considerando che il 90% delle imprese italiane è di piccole dimensioni, mentre nelle medie imprese (50-249 dipendenti) ha svolto lo stage soltanto il 13% dei tirocinanti. Ammontano invece a un quinto (21%) gli stage effettuati presso un Ente Pubblico.
La pratica di prorogare il periodo di stage oltre il termine previsto si verifica con maggior frequenza nelle grandi aziende, e le stesse, nei casi in cui decidano di stabilire un rapporto di lavoro, preferiscono il tempo determinato. Nelle piccole aziende si registra una preferenza per il contratto atipico di collaborazione occasionale e l’esperienza dello stage sembra alla fine sottoporsi ad un bivio: o da luogo ad un contratto di lavoro o ad un nulla di fatto, senza vie di mezzo quali la proroga.
Tra i diversi settori aziendali il più battuto dai giovani è quello della “Comunicazione, Spettacolo e Pubblicità”, all’interno del quale ha svolto lo stage il 12% dei partecipanti al sondaggio. Una quota leggermente inferiore di stagisti (11%) ha svolto il tirocinio nella “Pubblica Amministrazione”, mentre il 10% ha effettuato lo stage in una società di “Consulenza o Servizi alle imprese”.
La proficuità dello stage in un settore è direttamente collegata a quanta probabilità si attesti affinché da esso scaturisca un contratto di lavoro. E così il settore più virtuoso sembrerebbe essere quello della “Grafica e Editoria”, all’interno del quale è stato offerto un contratto di lavoro al 28% dei tirocinanti. Tuttavia la forma contrattuale più diffusa è risultata essere quella atipica, meno impegnativa per le aziende e meno tutelante per il/la giovane (e quindi: collaborazione occasionale, 14,3%, e contratto a progetto, 10%), mentre i contratti a tempo determinato e indeterminato rappresentano delle vere e proprie eccezioni (rispettivamente 2,5 e 1,3%).
Ma il settore realmente più virtuoso è invece risultato essere quello della “Educazione e Formazione”: anche se la quota di tirocinanti che hanno ricevuto un’offerta di lavoro (26,6%) risulta leggermente inferiore rispetto al settore della “Grafica e Editoria”, risulta infatti decisamente più elevata l’incidenza dei contratti a tempo determinato e indeterminato (rispettivamente 6 e 4%), mentre le collaborazioni occasionali e i contratti a progetto si attestano entrambi intorno all’8%. Interessanti anche le quote di inserimenti post-stage nei settori “Commercio e Distribuzione” e “Telecomunicazioni/ICT”, nei quali uno stagista su quattro ha visto trasformarsi lo stage in un contratto di lavoro. Tali cifre, infatti, sono comunque molto più elevate di quelle raggiunte da settori come quello dei “Servizi finanziari e assicurativi” e quello delle “Attività non profit”, nei quali è stato proposto un contratto di lavoro, di qualsiasi tipo, rispettivamente solo al 15 e al 17% degli stagisti.
Per quanto riguarda la sede geografica dello stage, i ragazzi e le ragazze spesso vanno lontano da casa, ma non troppo. Dal sondaggio è emerso che la stragrande maggioranza (quasi nove su dieci) i neo-stagisti restano in Italia: i casi di stage all’estero sono un’esigua minoranza, e riguardano prevalentemente l’Unione Europea (9,2%). Ad andare molto lontano, al di fuori dei confini dell’UE, solo due ogni cento.
Alla base di un simile dato vi è probabilmente la scarsa propensione alla mobilità caratteristica degli italiani, che privilegiano i legami familiari e stentano ad allontanarsi dalla propria città e da ambienti conosciuti (lingua, cucina…) ma anche e soprattutto la difficoltà a coprire adeguatamente le spese, indubbiamente più elevate per un tirocinio all’estero.
Per chi resta in Italia quindi : meno della metà degli stagisti, per la precisione il 44,3%, fa la sua esperienza di tirocinio nella città dove vive. Per gli altri si profilano spostamenti chilometrici: in un caso su quattro facendo i pendolari (24,7%), in un altro caso su quattro (25,9%) trasferendosi in un’altra città. In oltre la metà delle esperienze raccolte, quindi, lo stage si accompagna a pendolarismo o trasferimento, ovvero a fonti di spesa nuove o ritoccate a cui si dovrà provvedere e che ricadono verosimilmente sullo/a stagista (cioè in molti casi sulla famiglia) almeno che l’azienda o l’ente in cui lo stage verrà espletato non predisponga degli emolumenti, in ogni caso non obbligatori.
COME – L’intermediazione tra potenziale stagista e azienda o ente pubblico si svolge è stata svolta nel 30% dei casi dall’ufficio stage universitario o comunque da associazione appartenente all’università frequentata; rilevante il dato secondo cui quasi un quarto (24%) degli intervistati hanno trovato uno stage di propria iniziativa, perlopiù con Internet, rendendo visibili i propri CV tramite l’iscrizione a portali specializzati e/o candidandosi spontaneamente nell’area recruitment delle aziende. Nel 10% dei casi l’intermediazione è stata svolta dalla scuola superiore di appartenenza o dal centro di formazione a cui si è iscritti, il che testimonia a favore dello sviluppo dello strumento stage anche nel periodo formativo pre-universitario (situazione che sta divenendo tipica soprattutto per gli Istituti Professionali e gli Istituti Tecnici ) mentre nell’8% dei casi lo stage ha costituito l’esperienza finale prevista per il completamento di master.
Altri due dati su cui riflettere: una quota irrisoria, solo il 2%, degli intervistati ha trovato uno stage tramite il Centro per l’impiego (CPI) del territorio di residenza (questo a causa dell’inefficienza propositiva dei centri o a causa della non conoscenza da parte dei giovani delle opportunità di stage erogate?), mentre le “conoscenze” costituiscono il terzo metodo più usato per accaparrarsi uno stage o un tirocinio, dopo l’ufficio stage e il “fai da te” telematico (17%). Si ricerca dunque la strada preferenziale e la meritocrazia dubbia anche per esperienze solo propedeutiche per il lavoro (si tratterà con molta probabilità di stage di inserimento o comunque non dovuti alla maturazione di cfu).
QUANDO – A seconda del momento in cui si fa uno stage, cambiano in maniera significativa gli obiettivi dello stage stesso e le aspettative che la persona ripone in questa esperienza. In generale e intuitivamente, più si è giovani, più si cercherà nello stage un momento di formazione e/o orientamento, mentre, col passare degli anni, l’obiettivo diventerà invece quello di entrare a tutti gli effetti nel mondo del lavoro e quindi di essere assunto dopo lo stage. Il completamento della propria formazione, l’orientamento al mondo delle professioni, l’ottenimento di crediti formativi necessari a sono la ratio tipica degli stage effettuati in corso di conseguimento del titolo di laurea:
uno su quattro tra coloro che fanno stage durante l’università dichiara di farlo per completare la formazione, un altro quinto per orientarsi nel mondo delle professioni, molti per ottenere crediti formativi (soprattutto per i corsi di laurea triennale: qui la percentuale supera il 35%). Infatti, solo uno su cinque (21%) degli studenti specialistici e uno su dieci (10,6%) degli studenti triennali cerca lavoro attraverso lo stage: per loro è chiaro che le finalità sono altre, legate essenzialmente al percorso accademico che stanno compiendo per arrivare alla laurea.
Diversamente, la metà dei laureati specialistici (49,3%) e oltre un terzo dei laureati triennali (39,3%) ammettono esplicitamente, a quel punto, di vedere lo stage essenzialmente come un volano verso l’impiego (38%).
Il discorso è ancora più evidente se si prendono in considerazione i master. Le persone che intraprendono questo tipo di percorsi formativi superiori sono già laureate, hanno quindi un’età mediamente superiore ai 27 anni. Statisticamente, i frequentatori o i possessori di master cercano negli stage essenzialmente un contatto diretto con le aziende per poter poi essere assunti: infatti quasi il 41% di chi fa stage durante un master dichiara esplicitamente che l’obiettivo è quello di trovare lavoro, percentuale che s’innalza al 57,3% (la più alta in assoluto) per chi fa stage dopo il master.
PROBLEMI – Il 48,4% del campione dichiara di aver svolto un solo stage: è possibile perciò ipotizzare sia che la prima esperienza sia sfociata in un rapporto di lavoro oppure che si tratti solo di una prima esperienza di stage, mentre, ovviamente, risulta impossibile ripartire tale dato per ciascuna delle ipotesi appena fatte.
Nel dm 142/1998 non si prevede la cumulabilità dei mesi di stage svolti da una persona in esperienze diverse ma si fissa solo una durata massima per gli stage singoli svolti presso un ente o un’azienda (12 mesi): per cui è possibile ed è noto che un/una giovane debba svolgere più di uno stage prima di sottoscrivere un contratto di lavoro. Il problema dunque è quello dei serial-stagisti, ovvero di ragazzi e ragazze, perlopiù neolaureati e probabilmente specialistici, che passano in rassegna 3 o più esperienze di stage di durata variabile (abbassando notevolmente la proficuità dello strumento stage) e che si approssimano ai trent’anni senza potersi ancora considerare dei lavoratori stipendiati.
Dal campione si evince che i serial-stagisti ammontano al 18,8%: quasi 19 persone su 100 hanno svolto più di tre stage al momento del sondaggio. Anagraficamente I più “tartassati” dagli stage risultano essere gli attuali venticinque-trentenni, che dopo aver fatto uno o più tirocini durante i percorsi formativi, devono farne ancora uno o più
anche dopo, perché non riescono a trovare un’occupazione. La stragrande maggioranza dei serial-stagisti, poi, è di sesso femminile e ciò, forse, può essere una testimonianza ulteriore delle difficoltà maggiori incontrate dalle donne nella ricerca di una occupazione.
La situazione del serial-stagista può complicarsi ancorché gli stage si susseguano dopo la conclusione di un percorso formativo (nel 44,7% dei casi lo stage è distaccato dal conseguimento di un titolo o di una qualifica): considerando che una buona parte degli stage raccontati dura 4/6 mesi (39,6%) e che il numero minimo di stage per i serial è di 3, ci sarebbe il rischio che a venticinque/ventisette anni si passi mediamente 15 mesi non retribuiti, e probabilmente non continuativi, nell’attesa di meritarsi l’ingresso nel proprio settore professionale!
Partendo dal fatto che la percezione degli stage fatti da coloro che oggi sono laureati sia specialistici che triennali (leggermente meno per questi ultimi) è fra buona e ottima in circa il 50% dei casi, la valutazione si attesta fra mediocre e sufficiente con tendenza al pessimo e con valori superiori alla media del campione, complessivamente fra il 52 e il 53%, per coloro che oggi sono sia diplomati che masterizzati. In generale le tre cause principali di insoddisfazione sono lo svolgimento esclusivo di mansioni di basso profilo (26%), l’eccessivo carico di lavoro (23,4%), il mancato o inadeguato supporto da parte del tutor aziendale (17,9%): c’è da interrogarsi, quindi, sul reale valore formativo di stage durante i quali si lavora tanto su incombenze secondarie e per giunta non seguiti.
Fermo restando che ai sensi del suddetto dm 142/1998, “il soggetto ospitante non è tenuto a pagare alcuna retribuzione né contribuzione al tirocinante” e che uno stage deve durare al massimo 12 mesi per gli universitari, nei casi frequenti di stagisti e stagiste, pendolari o fuori sede, la vera agevolazione allo svolgimento del periodo di stage, a lato della gratificazione formativa che resta l’aspetto principale, è costituita dalla presenza o meno dei benefit erogati dall’azienda o ente ospitante. In 56 casi su 100 gli stage erogati non prevedevano alcun benefit; nel caso di stage agevolati (44%), il benefit più accreditato riguarda il vitto (58%), gratuito con la concessione di ticket restaurant o accesso alla mensa aziendale, mentre quasi 1 su 5 (21,1%) degli stage agevolati prevedeva rimborso spese o un contributo alloggi per non residenti ed altrettanti (20,8%) concedevano altri tipi di benefit non chiaramente identificabili ma che possono consistere nella dotazione di cellulare aziendale, portatile, possibilità di frequentare corsi o seminari formativi interni, sconti su servizi (ad esempio, la palestra).
Inoltre, il 54,6% degli stagisti pendolari e il 40,6% di quelli che si sono dovuti trasferire non hanno percepito alcun rimborso spese. Ad un altro terzo di questi ultimi è stato corrisposto un rimborso spese di massimo 500 euro. La maggior parte degli stagisti che non hanno percepito neanche un euro era inserita in una piccola impresa o in un ente pubblico mentre i contributi più generosi (tra i 500 e i 750 euro o oltre) sono erogati generalmente da grandi aziende, spesso multinazionali, oppure per stage UE o extra UE.
Emerge poi dal sondaggio che il rimborso spese è direttamente proporzionale alle prospettive di inserimento. Prova ne sia che la maggioranza assoluta degli stage in cui non era previsto nemmeno un euro di rimborso spese si è conclusa con neanche una proroga.
Il sondaggio Isfol/Repubblica degli Stagisti è consultabile qui, mentre si deve ricordare anche il recente documento ITALIA 2020 (qui in pdf),firmato dai ministri Sacconi e Gelmini, ovvero il piano di azione per l’occupazione giovanile in cui si segnala come fenomeno di preoccupante degenerazione il rischio di uno scadimento dello stage a strumento di reclutamento di manodopera a basso o bassissimo costo per le aziende, con scarse tutele dei ragazzi e delle ragazze, e senza che venga erogata effettivamente una qualche forma di attività di tipo formativo o di orientamento al lavoro.
Raffaele La Gala