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Normativa Stage a maglie larghe : ridotto il raggio d’azione nella circolare del Ministero del Lavoro

30 Settembre 2011
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19/04/2024

Giunge da parte del Ministero del Lavoro l'atteso chiarimento sulle nuove regole per stage e tirocini.

La circolare N.24, firmata congiuntamente dalla Direzione Generale per le politiche dei servizi per il lavoro e dalla Direzione Generale per l’attività ispettiva, illustra i chiarimenti in merito alle Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini, esposti all’articolo 11 della Manovra bis (decreto legge 138 del 13 agosto 2011): con tale disposto si riduceva a 6 mesi (proroghe comprese) la durata dei tirocini formativi e di orientamento non curriculari e se ne delimitava l’ attivazione entro i 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio. Il tutto rivolto ai tirocini la cui data di attivazione o le cui eventuali proroghe siano posteriori al 13 agosto scorso. Il dettato non chiarisce inequivocabilmente i tipi ammissibili di tirocinio e né soprattutto i tipi di destinatari, facendo intendere che la differenza sostanziale stia nel possesso o meno del requisito curriculare o non curriculare.

Facciamo chiarezza – Punto e a capo. Formativi e di orientamento sono i tirocini espressamente finalizzati ad “agevolare le scelte professionali e la occupabilità dei giovani nella delicata fase di transizione dalla scuola al lavoro mediante una formazione in ambiente produttivo e una conoscenza diretta del mondo del lavoro”. E’ la tipologia di tirocinio normativamente più definita ed è caratterizzata da: promozione ad opera di Università (o “istituto di istruzione universitaria abilitato al rilascio di titoli accademici”), istituzione scolastica o centro di formazione professionale (convenzionato con Regione o Provincia), individuazione di studenti universitari(compresi iscritti a master e dottorati) come destinatari dei tirocini erogati , attività inquadrata come alternanza tra studio e lavoro e inclusa nel percorso formale di istruzione o formazione, tempistica di svolgimento inclusa nell’espletamento del periodo di frequenza.

I tirocini formativi e di orientamento curriculari si distinguono perché inclusi a norma di regolamento nei piani di studio delle Università e degli istituti scolastici e perché sono previsti all’interno di un percorso formale di istruzione con la finalità di “affinare il processo di apprendimento e di formazione” con la già citata modalità di alternanza. Il carattere curriculare si riferisce quindi alla funzionalità del tirocinio rispetto al conseguimento degli obiettivi del percorso formale entro cui il tirocinio è attivato: tale funzionalità può concretizzarsi nel riconoscimento di crediti formativi maturati attraverso l’esperienza del tirocinio oppure nella preparazione della tesi conclusiva del percorso formale. Al di là dell’acquisizione o meno di crediti, ciò che rende “curriculare” un tirocinio è quindi il fatto di non essere finalizzato direttamente a favorire l’inserimento lavorativo del tirocinante.

Nella normativa italiana di riferimento su stage e tirocini (L.196/97 art. 18 e suo regolamento attuativo) si parla solo e unicamente di tirocini formativi e di orientamento, ai quali si rivolgono le nuove limitazioni varate nell’agosto scorso. La circolare ministeriale, collegando la nuova regolamentazione nell’ottica del sostegno della riforma dell’apprendistato, distingue nettamente invece questi ultimi dai cosiddetti tirocini di reinserimento/inserimento (mai menzionati nella legge). La differenza sostanziale sta quindi nei destinatari potenziali.

I tirocini di reinserimento/inserimento al lavoro sono infatti principalmente svolti a favore di inoccupati e disoccupati (compresi i lavoratori in mobilità). La loro regolamentazione è affidata integralmente alle Regioni, mentre la loro durata massima (6 mesi) è stabilita in base all’articolo 7 (comma 1,lett.b) del citato Regolamento Attuativo, ove però si parla indistintamente di studenti (post-diploma, post-laurea), inoccupati e disoccupati a proposito dei già discussi tirocini formativi e di orientamento.

E quindi? – Le nuove norme dell’art.11 non si applicano né ai tirocini formativi e di orientamento curriculari e né ai tirocini di reinserimento/inserimento. Fuori dal raggio d’azione tutti coloro coinvolti in corsi di laurea, master universitari, dottorati, corsi professionali convenzionati, lavoratori inoccupati e disoccupati. Nel caso dei master non universitari, se l’ente di formazione è accreditato in qualche modo come “istituto di istruzione universitaria” allora neanche i tal caso la nuova normativa troverebbe applicazione. Tutto si rimanda a come si procedeva prima dell’intervento legislativo! L’interpretazione a dir poco estensiva dei tirocini curriculari fa in modo che l’argine temporale dei 6 mesi valga solo per la categoria residuale dei tirocini formativi e di orientamento non curriculari.. cioè al caso di giovani a cui si propone di svolgere tirocinio al di fuori di un qualunque “percorso formale” e con l’intento manifesto di favorirne l’inserimento lavorativo, inserendo il tutto nel rapporto tra Università/istituzione scolastica/centro di formazione promotrici e azienda ospitante.

E’ probabile che il fine dell’inserimento lavorativo sia legato a occasioni offerte direttamente dalle aziende che utilizzano tirocini e stage per “provare” seriamente nuovo personale da reclutare: nei casi di aziende non dedite allo sfruttamento quindi il limite temporale dei sei mesi potrebbe addirittura costituire un ostacolo al compimento del percorso di prova secondo le esigenze interne dell’azienda stessa. Tuttavia c’è anche da dire che mentre le aziende sembrano puntare troppo su utilizzi assolutamente discutibili dello stage, i ministeri coinvolti sembrano propendere per l’elezione dell’apprendistato a canale di reclutamento preferito. Il Ministero del Lavoro, dal canto suo, promette più controlli ispettivi per il rispetto delle nuove norme: per le aziende che facciano uso illegittimo dello stage è previsto l’ordine di regolarizzare la situazione riconfigurando ciò che era partito come tirocinio nei termini di un normale rapporto lavorativo, corrispondendo quindi paga, contributi e premi assicurativi omessi.

“Cosa essere Università” -Se le cose stanno in questi termini (ma: non si finisce mai di interpretare) le Università risultano determinanti non solo nell’offrire percorsi formali che costruiscano figure professionali collocabili nel mercato del lavoro ma sono chiamate anche (se non si fosse ancora capito) a promuovere l’incontro tra giovani e aziende in ottica espressamente lavorativa. Lungi dalla logica del “collocamento” ciò significa utilizzare il canale universitario come trasmettitore di talenti. Questa è l’unica lettura socialmente utile del servizio di “orientamento in uscita”. Non solo offerta post-laurea, quindi, ma, banalizzando per intenderci, solidità teorica proposta al mondo della pratica.

Raffaele La Gala

© Riproduzione Riservata
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