La situazione è, effettivamente, sempre la stessa. Riunioni, assemblee, cortei, scioperi ed altre forme di protesta più o meno forti non sono riuscite nel loro intento di attirare l’attenzione sperata sul tanto discusso ddl Gelmini che, secondo molti, porterà inevitabilmente allo sfascio dell’università italiana.
Non accenna a placarsi, dunque, la linea di protesta tracciata intorno alla fine dello scorso anno accademico e ridiscussa durante una riunione svoltasi il giorno mercoledì 7 settembre 2010 all’interno dell’Università di Parma.
E i ricercatori dell’ateneo emiliano, chiaramente in contrasto con il ddl Gelmini per la riforma universitaria, confermano “a malincuore la scelta di astenersi da forme di didattica cui non sono tenuti per legge come forma di pressione in vista dell’imminente iter del ddl alla Camera”.
Ddl che non soddisfa affatto i ricercatori, poiché ritengono che questa è una riforma “del tutto inadeguata all’obiettivo di miglioramento della qualità della ricerca e della formazione universitaria nazionale e, anzi, ritenendola, insieme ai tagli finanziari, una vera e propria mannaia che mette in discussione non solo la competitività, ma perfino la sopravvivenza stessa del sistema universitario pubblico del nostro Paese”.
Ma c’è da fare una precisazione: “Se, malauguratamente, in seguito a questa forma di protesta alcuni corsi di studio dovessero subire penalizzazioni o addirittura essere soppressi, la responsabilità di ciò non potrà certo essere attribuita ai ricercatori che – continuano – non solo hanno annunciato la propria protesta con mesi di anticipo, ma si sono responsabilmente fatti carico del normale svolgimento del precedente anno accademico, nonostante lo stato di agitazione nazionale in corso”.
“In particolare – concludono i ricercatori – per ciò che concerne i ricercatori, nonostante le diffuse proteste sollevate nella maggior parte degli atenei italiani, non appare alcuna ipotesi di soluzione al trentennale problema del loro stato giuridico e non ne viene riconosciuta la funzione docente sinora effettivamente svolta”.
Ancora una volta la risposta da parte del Ministero tarda ad arrivare o, forse, non arriverà..
Ma siamo certi che le proteste all’interno del mondo universitario emiliano – e di tutto il nostro Paese – continueranno a far sentire la voce pressante di chi vuole che i propri diritti non vengano calpestati da chi sta trasformando l’università italiana in carne da macello.
Sebastiano Liguori