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Anche gli STAGE nella manovra di emergenza

2 Settembre 2011
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18/04/2024

La manovra anti-crisi (bis) e lo scontro politico sugli emendamenti imperversa da tutto agosto.

E’ stato un insolito tormentone di Ferragosto che continua ancora in questi giorni e che modifica aspetti sostanziali della vita degli Italiani. Le misure anti-emergenza riguardano tutti, non solo chi riprende a lavorare (o non ha mai smesso) ma anche chi riprende a studiare in vista dell’attesa seduta di laurea e già pensa a procacciarsi un’occasione di stage.

Un argine nell’emergenza – Nelle disposizioni di emergenza infatti il governo ha ritenuto di varare un articolo (il numero 11) che in 2 commi sancisce con l’immediatezza del decreto-legge i Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini . La norma riduce il periodo utile allo svolgimento dei tirocini non curricolari a 6 mesi, proroghe comprese. A scanso di equivoci, la dicitura fondamentale che qualifica il tirocinio è quella relativa alla sua valenza curriculare: la norma si riferisce infatti ai tirocini non finalizzati all’acquisizione di CFU necessari a completare il proprio Piano di Studi universitario ma funzionali invece a realizzare “momenti di alternanza tra studio e lavoro” e ad “agevolare le scelte professionali” (come recita l’articolo 18 della principale legge di riferimento in materia, Legge n. 196 del 1997) di neodoplomati e neolaureati. Inoltre il tirocinio deve essere attivato tassativamente entro 12 mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

Via quindi la regola dei canonici 18 mesi post-titolo e bandita anche la possibilità di tirocini al massimo quadrimestrali per ragazzi e ragazze frequentanti la scuola secondaria (come l’Istituto Professionale). Per gli studenti universitari invece permane la possibilità di svolgere tirocini curriculari lunghi fino a dodici mesi.

L’intervento presuppone come situazione tipo quella del giovane che ha appena terminato gli studi e per il quale si prevede l’esperienza del tirocinio nei mesi immediatamente dopo il conseguimento di diploma o laurea. Per contrastare il malcostume di proporre gli stage come esperienza aziendale standard rivolta a tutti i casi (laureati di lunga durata inoccupati, diplomati o laureati neo-disoccupati, disoccupati di lunga durata con la necessità di riqualificarsi ecc.) si vuole dunque spingere affinché i tirocini costituiscano nella maggior parte dei casi la prima esperienza di contatto con l’ambiente professionale di riferimento. In ottemperanza alla sua natura di periodo con finalità principalmente formative, il tirocinio dovrebbe normalmente rivolgersi a coloro che non possono ancora vantare comprovata esperienza lavorativa. Condensare in sei mesi l’esperienza insieme alla sua eventuale proroga (alquanto improbabile data la circostanza) vorrebbe suggerire ad enti ma soprattutto aziende ospitanti a proseguire il rapporto con lo stagista ricorrendo ad altri strumenti di inquadramento professionale, come ad esempio il tanto discusso apprendistato o di passare a veri contratti di lavoro.

Un si alla formazione continua – L’apprendistato si riconnette al tema della formazione continua a rapporto lavorativo in corso. All’articolo 10 della Manovra si apre un varco in tal senso laddove si dispone che i programmi di formazione continua finanziati con i fondi paritetici interprofessionali nazionali possono altresi’ utilizzare parte delle risorse a essi destinati per misure di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto. I fondi verranno da più parti dunque ma lo svolgimento e l’efficienza delle azioni di formazione in itinere è altro discorso.

In attesa di organicità – Dal provvedimento preso ne deriva un’azione che, per quanto miri a limitare le occasioni di lavoro irregolare, scongiura solo indirettamente l’invalsa pratica a sfruttare i tirocini come velato escamotage per ottenere lavoro non retribuito (per legge!) e, ciò ancora più grave, al riparo dalle norme sul licenziamento e dagli obblighi derivanti dalla contrattazione collettiva.

Senza discettare su quanto sia opportuno o meno il rimborso spese o su quanto sarebbe giusto o meno accordare agli stage nella PA un punteggio riconosciuto nei bandi di concorsi pubblici attinenti, Il cuore del problema molte volte sta nella mancanza di occasione o forse volontà di raccordo tra i soggetti istituzionali investiti per legge del compito di fare da ponte per conto dei giovani verso aziende (profit e no-profit) e le aziende stesse. Mancanza che diventa nefasta nel momento in cui (come da almeno 5 anni a questa parte testimoniano i vari Excelsior, Isfol, Unioncamere) lo stage diventa lo strumento di reclutamento per eccellenza, il vero passpartout per il mondo delle professioni.

Il già citato articolo 18 e il conseguente Regolamento pongono a garanzia della correttezza e della preservazione del valore formativo il partenariato tra tutta una serie di soggetti promotori (la lista è lunga: agenzie regionali per l’impiego, uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, università, provveditorati agli studi, istituzioni scolastiche statali e istituzioni scolastiche non statali , centri pubblici di formazione e/o orientamento, servizi di inserimento lavorativo per disabili) e le aziende ospitanti. Tra i progetti di orientamento e di formazione, la legge accorda priorità “per quelli definiti all’interno di programmi operativi quadro predisposti dalle regioni”. E con le Regioni arriviamo al punto. Anche il disposto della Manovra (art.11,comma 2) si rimanda alle specifiche regolamentazione regionali: sono le Regioni infatti che, facendo leva sulla loro ampia autonomia amministrativa, possono dare incisiva applicazione alla norma e predisporre programmi formativi, di orientamento ma anche di re-inserimento che utilizzino stage rimborsati e realmente formativi, nonché incentivi per le aziende che li trasformino in assunzioni vere.

Raffaele La Gala

© Riproduzione Riservata
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